Realizzare un progetto innovativo. Fondamentale viaggiare dal prodotto teorico al prodotto reale passando per la protezione delle idee

Rubrica: Ingegneria e Motorsport | Le domande dei lettori

Titolo o argomento: Come realizzare un progetto innovativo

Rispondendo a: Emanuele

Emanuele scrive: Buongiorno, mi presento, mi chiamo Emanuele, ho 21 anni e sono uno studente di Ingegneria del Veicolo all’università di Modena, meccanico in pista per Ducati (spero di passare ad auto al più presto) e grandissimo appassionato di motori, in particolare del mondo automobilistico. Quest’anno, a Novembre, inizierò a frequentare un corso per diventare ingegnere di auto da corsa e sto cercando i migliori modi per “portarmi avanti”, oltre che nutrire la mia passione, che altrimenti mi divorerebbe giorno per giorno.

Tra diversi libri, diventati i miei preferiti per la semplicità o completezza, molti video sul web di meccanici, o lezioni universitarie sulla costruzione dei veicoli e svariati siti web, ho trovato il vostro sito, che ho reputato una miniera d’oro, e mi piacerebbe, anzi amerei leggere gli articoli sui test o sulle regolazioni, in particolare quelli sul setup.

Ho in mente da molto tempo un progetto, che potrebbe “cambiare” o avere un impatto positivo nel mondo del motorsport, ma credo che se lo proponessi a case automobilistiche o scuderie, potrebbe essere “rubato” facilmente.
Secondo la tua conoscenza/esperienza, potrei proporre solo con prove scritte (e-mail o documenti controfirmati) questo progetto, assicurandomi che legalmente sia di mia proprietà intellettuale? Mi servirebbe un brevetto in ogni caso per tutelarmi? Ti ringrazio molto se mi risponderai poiché è un problema a cui non trovo soluzione.

Accordi di riservatezza e Brevetti

Gentile Emanuele è fondamentale (fondamentalissimo) che tu protegga la tua idea. Gli accordi di riservatezza, firmati e controfirmati con le figure alle quali proponi le tue idee, non proteggono realmente in quanto non impediscono ad un tuo concorrente di sognarsi la notte la stessa idea. Ovviamente non è così, si ispirano alla tua, ma nulla vieta in sede giudiziaria di sostenere che semplicemente si è avuta la medesima idea (o molto simile o un’evoluzione conseguente alle tue proposte).
Anche il brevetto può essere anti-intuitivamente sfavorevole se non è preso nel modo corretto. Proteggendo l’idea solo in Italia fai sì che i paesi stranieri, che controllano giornalmente le registrazioni nel nostro paese, possano realizzare la medesima idea nei loro paesi (puoi già immaginare di chi si tratta, in particolar modo i cosidetti “mercati emergenti”). Ad ogni modo è utile proteggere in Italia, in Europa, in India, in Cina, negli Stati Uniti ed in tutti i luoghi in cui un tecnico esperto ed affidabile in materia di brevetti ti suggerirà (si stanno aggiungendo paesi che mai immagineresti, per questo è fondamentale il supporto di esperti).
Il costo, a seconda di dove, cosa e quanto proteggi (ovvero il livello multiplo di protezione che dai al tuo progetto non solo nell’idea centrale ma anche nelle piccole possibili varianti funzionali), può essere tranquillamente di diverse decine di migliaia d’Euro e rimane valido 20 anni (i marchi, invece, rimangono registrati 10 anni con possibilità di rinnovo solo se effettui tale rinnovo con un anticipo temporale predeterminato -durante l’ottavo anno o entro un limite del nono- ma ogni cosa che ti scrivo va debitamente accertata perché sussistono cambiamenti ed aggiornamenti che possono essere fatali).

Il consiglio che ti offro necessita di una piccola prefazione

Da appassionato il consiglio che ti offro, per vincere sul sistema impervio della competizione moderna (sebbene anche la storia ce lo confermi già dai secoli in cui ci accingevamo a raggiungere la prima rivoluzione industriale), è quello di non dire nulla a nessuno (nemmeno alle persone più insospettabili) perché, pur non volendo, pur in buona fede, una volta che ti ascoltano sono neurologicamente influenzate da quanto gli hai detto e, inconsciamente, potrebbero applicare la logica che gli hai esposto in altri ambiti vanificando i tuoi sforzi. Le persone migliori, quando presenti, sono sempre i propri genitori. Puoi fare affidamento su di loro nella vita, anche solo per un dialogo di confronto di esperienze (anche se ti fanno esempi che apparentemente non c’entrano nulla), qualunque siano le complicazioni che hai tu, che hanno loro ed i limiti culturali nonché naturali di comprensione che ogni persona ha. Potrebbero non capire nulla di cosa gli stai parlando ma un dialogo potrebbe farti ragionare su cose che avevi latenti nella mente. Insomma, dai genitori puoi non ricevere risposte ma stimoli e consigli che sono estremamente utili specie nell’età delle scuole superiori e delle prime esperienze universitarie e post universitarie. Anche nonni o zii vicini che son stati chiamati dalla vita a sostituire genitori possono rappresentare l’interlocutore ideale con cui parlare per portare a galla ciò che di dormiente, in realtà, è già in noi.

Un conto è proteggere la Teoria, un conto è proteggere un progetto compiuto

Il mio consiglio è quello di realizzare autonomamente (ed in gran segreto) la propria idea fino ad esser pronto ad immetterla sul mercato e, poco prima, proteggerla debitamente. Il 100% delle persone che ho conosciuto che hanno proposto idee, al solo livello teorico, le hanno perse tutte. Chi invece le ha prima realizzate e protette, fasandosi con l’ingresso sul mercato, ha tratto i benefici migliori. La sorpresa è tutto. Le aziende vanno veloci; possono realizzare un’idea in poche settimane (non occorrono più anni), dispongono di numerosi sturmenti ma, guarda il caso, soffrono di penùria di idee… e ne hanno fame.

Innovazione o naturale evoluzione? Un rapido esempio

Attenzione però alle idee che rappresentano evoluzioni naturali di una soluzione. Esempio: la Ferrari F1 introduce nel 1989 il cambio al volante. Bene. Ora è naturale aspettarsi che tutte le scuderie porteranno naturali miglioramenti, con vari dispositivi sempre più affidabili, ai tempi di cambiata. Un conto quindi è essere l’autore del cambio al volante (prima non c’era) un conto è proporre una naturale evoluzione a cui, prima o dopo, arriveranno tutti. In quest’ultimo caso vige la regola della velocità di immissione sul mercato che però richiede team di lavoro esclusivi, strutture e attrezzature notevoli. Ed anche disponendo di tutto questo esistono pur sempre errori, comportamenti non regolari di avversari, personale che si comporta da opportunista se nel contratto non gli hai messo delle severe penali…
E’ un mondo infinito.

Ricapitolando, predisponi una realtà che utilizzi i tuoi personali metodi per compiere cicli come questi o le loro varianti appositamente studiate

.: Progetta la tua idea
.: Costruiscila
.: Usala davvero e verificala
.: Studia come si comporta
.: Rompila
.: Migliorala
.: Rompila di nuovo
.: Migliorala ulteriormente
.: Brevettala o preserva il Know How (segreti industriali su come ci riesci)
.: Vai sul mercato subito dopo le conferme di brevetto

! Nota

C’è un lag tra le conferme di brevetto a livello nazionale e la possibilità di richiedere il brevetto a livello internazionale. Per questo ci vogliono grandi esperti a cui affidarsi. Cerca di fare la conoscenza di imprenditori self made man che hanno brevettato in più occasioni e che possono fornirti la loro esperienza cosicché tu non commetta i loro stessi errori (ma sicuramente se ne commettono di nuovi).

!! Nota

Prova a brevettare prima un’idea minore per un giro di rodaggio.
Scoprirai quanto sia costoso il mondo della tecnica e quanto sia competitivo.

!!! Nota

Tra protezione di un Brevetto e la protezione del Know How ci sono importanti distinzioni. Ad esempio la protezione del Know How non richiede spese in brevetti ma la studio e la dotazione di sistemi, frutto del proprio genio creativo, utili a mantenere segreti ad esempio metodi per ottenere un particolare prodotto o per risolvere specifici problemi. In fondo a questo articolo, nei “Link a tema” vi sono utili approfondimenti a tal proposito.

Il segreto è sempre quello di imparare a fare da soli

Il segreto è sempre quello di imparare a fare da soli, non deve trapelare nulla. Io personalmente ho delle persone addosso da molti anni: concorrenti, realtà di innovazione minori che bramano continuamente altrui progetti (per portarli ad un binario morto, su richiesta di concorrenti puntualmente scoperti, oppure per svenderli pensando ad avere tutto quel che si può subito così da passare al prossimo nel totale disinteresse per ogni singolo progetto), incubatori e startupper di tipo opportunistico mossi dal solo interesse di mettere le mani sui fondi destinati agli innovatori facendo leva su ragazzi inesperti che gli passano sotto… la lista è lunga.

Proteggiti. Studia i tuoi sistemi

Anni fa, prima che prendessi provvedimenti, mi hanno hackerato i computer, i server, le amicizie, sono entrati nelle mie proprietà (attacchi a forza bruta) con le scuse più sciocche pensando che non me ne accorgessi, hanno cercato i miei collaboratori, i miei eventuali finanziatori, si sono messi in mezzo per farmi perdere l’acquisto di particolari strutture di tipo industriale (l’azione legale relativa a quest’ultimo punto sarà oggetto di una rubrica a cui sto lavorando contenente numerosi consigli per arrivare più preparati a scongiurare simili eventi) e si sono presi tante brighe pensando “È solo un ragazzo, adesso lo freghiamo”…
Hanno fatto di tutto per tentare di rubare ciò che non è loro. Non sempre per denaro, spesso anche per l’invidia che non fosse loro figlio ad aver avuto determinate qualità o capacità. L’invidia è capace di trasformare le persone in zombie affamati di “cervelli” (non trovo un esempio che calzi di più).

Proteggiti. Evita gli uomini dagli scopi frivoli

Per quale scopo poi? Quando non è l’invidia è un altro comportamento basico o la combinazione dei due: arricchirsi di denaro che non sanno utilizzare, per comprarsi oggetti che fanno il monaco. Li ho visti vendersi e svendersi per poter possedere un’automobile nuova più prestigiosa che dia più importanza (“L’ambire troppo agli onori è chiaro sitnomo di meritarli poco” lessi 22 anni fa su una proverbiale bustina di zucchero), una barca che faccia più scena per la loro immagine (ammissione fattami da un’opportunista che alla fine parlò sostenendo che, con la barca che avrebbe comprato se i piani fossero andati come lui voleva, avrebbe potuto sembrare un uomo di successo e avrebbe “catturato” più clienti) e tutto quel che puoi racchiudere in questo insieme di definizione.

Dentro sono persone vuote, non hanno lumi, non hanno passioni, gli occhi sono spenti, non hanno scintille, sono annoiate, con famiglie trascurate, una vita di apparenze e la soglia di depressione sempre lì, ad un passo, perché guardano le persone appassionate e si chiedono “Come diamine fanno?!?” e le invidiano cercando di esser migliori di loro attraverso quel che potrebbero far sembrare o quel che potrebbero impedire di far realizzare tramite le loro leve del potere. Anche di questi aspetti parleremo approfonditamente nella rubrica che poco sopra menzionavo e che racconterà nel dettaglio, con singolari spiegazioni, quel che mi è accaduto negli ultimi due anni. Questo paese è oltremodo formativo…

Li ho visti finire tutti male, con il tempo. E forse è accaduto proprio perché non me ne importa nulla, perché mi piace pensare all’Uomo nella sua accezione più elevata, perché mi appassionano le virtù delle persone di buona volontà. Le persone di cui ad esempio si circondarono Uomini come Enzo Ferrari, Adriano Olivetti, Enrico Mattei… abbiamo una lunghissima lista in Italia se si desidera studiare la Storia della Potenza Prestigiosa che abbiamo rappresentato.

Cautelarsi richiede una porzione consistente dei tuoi sforzi

Per fortuna gli opportunisti non hanno avuto la meglio nelle mie vicende e in quelle di molte altre persone che ho avuto piacere di conoscere, ma cautelarsi richiede risorse, tempo, energia, impegno, caparbietà, esperienza, imparare il più possibile ogni volta che se ne presenta l’occasione. Realizzare affascinanti progetti richiede sacrificio. A qualcosa si deve pur rinunciare, è la prassi nella vita, son compromessi, ma quel che otterrai, grazie a questo, avrà per te un valore enorme e ti darà soddisfazioni altrettanto enormi e le energie rinnovate per goderne appieno.

Un lieto fine possibile

Quindi il lieto fine è possibile ma richiede di studiare sempre con la perseveranza e la pazienza incrollabile di una goccia d’acqua che scava la pietra. Richiede di fare qualcosa perché ti piace, per andare oltre, studiare anche cose che sembrano non avere nulla a che fare con il tema principale perché se sei esperto solo dell’idea tecnica difficilmente verrà realizzata. Bisogna conoscere l’economia, le banche, i comportamenti del mondo dell’impresa, la natura umana, i casi pregressi della storia nel tale settore e, perché no, anche in altri settori. Non si finisce mai. Però, se ti piace, ce la fai.

Fai esperienza e fai come se…

Fai esperienza partendo da cose minori, preserva la tua idea migliore, diventa capace di realizzarla nelle parti fondamentali anche da solo, arriva fino al prodotto finito funzionale ed utilizzabile. Usalo, vivilo, rompilo, ragiona in più dimensioni, ragiona come fossi l’utilizzatore tipo, l’utilizzatore esigente, quello che deve contraddire, quello detrattore, scegli cosa e per chi vuoi produrre e lascia perdere gli altri. Il tuo prodotto non è per tutti. Trova le persone giuste ideali per la tua proposta singolare.

Ci vorrà il tempo. In Italia non si dà molto credito ai giovani. Siamo l’opposto degli Stati Uniti, lì vai e tiri da bestia… qui se non ti vedono qualche pelo di barba che inizia a diventare bianca nemmeno ti ascoltano (salvo rari casi).

Buona giornata, Raffaele Berardi : )

Link a tema
(link non attivi, copia e incolla sul tuo browser per visitarli)

Rapporti tra Know How e Brevetti
https://brevettinews.it/brevetti/rapporti-tra-know-e-brevetto/

Brevetto
https://www.sib.it/brevetti/approfondimenti-invenzioni/brevetto/

Brevetto italiano
https://www.sib.it/brevetti/approfondimenti-invenzioni/brevetto/brevetto-italiano-ufficio-italiano-brevetti-e-marchi/

Brevetto europeo
https://www.sib.it/brevetti/approfondimenti-invenzioni/brevetto/brevetto-europeo/

Brevetto unitario
https://www.sib.it/brevetti/approfondimenti-invenzioni/brevetto/brevetto-unitario/

Domanda di brevetto internazionale PCT
https://www.sib.it/brevetti/approfondimenti-invenzioni/brevetto/domanda-di-brevetto-internazionale-pct/

Uscire dalla giurisdizione del TUB (Tribunale Unificato Brevetti)
https://www.sib.it/difesa-dei-diritti/tribunale-unificato-dei-brevetti-informazioni/uscire-dalla-giurisdizione-del-tub/

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Il difficile accesso al mondo del Motorsport

Rubrica: Motorsport | Le domande dei lettori

Titolo o argomento: Il difficile accesso al mondo del Motorsport

Rispondendo a: Antonio

Antonio scrive: sono un giovane ingegnere attualmente impiegato presso una importante azienda automobilistica italiana. Sebbene stia lavorando già nell’automotive, il mio sogno è lavorare in ambito motorsport (sono specializzato in aerodinamica con un master in aerodinamica dei veicoli da competizione) ma sto riscontrando particolari difficoltà ad entrare in questo “mondo”, il quale sembra abbastanza chiuso e nel quale si entra principalmente tramite conoscenze (e non solo tramite cv). Oltre alla mia passione e al mio percorso di studi, non ho mai avuto opportunità di fare esperienza pratica (non ho familiari o amici meccanici/carrozzieri dove mi sarebbe piaciuto sporcarmi le mani) e non ho sfruttato il periodo universitario per partecipare a programmi come la formula sae, che a quanto pare permette alla maggior parte dei giovani ingegneri di essere assunti da aziende del settore. In particolare sto notando come sia difficile entrare a far parte di team o reparti corsa senza possedere contatti diretti con persone già all’interno di queste realtà o senza aver fatto già un pò di esperienza in pista.

Ho letto il suo blog e ho pensato che forse può darmi qualche consiglio su come muovermi e quali sono le possibili strade da percorrere per raggiungere il mio obiettivo. La ringrazio in anticipo.

Cordialmente.

Buondì Ing. Antonio,
mi scuso per il ritardo nel rispondere ma qui è un trambusto continuo e non ho un attimo libero. Effettivamente non è un caso semplice il suo perché le porte di accesso principali sono proprio l’esperienza pratica e la FSAE. Nel secondo caso però ho potuto osservare come con il tempo non tutti i posti siano stati mantenuti dai giovani ingegneri. Alle volte per l’enorme sacrificio che questo tipo di lavoro e passione comporta, altre volte per mancanza di attitudini emerse nel giro di poco tempo.

Il lato bello, quello che si può mostrare agli amici quando si riesce ad accedere a questo complesso mondo, si fa presto da parte mettendo avanti tour de force a cadenza costante. Ad esempio mi capitava spesso di lavorare la notte per completare l’assemblaggio di vetture per le quali le parti di ricambio non erano arrivate in tempo o perché uno o più piloti avevano avuto guasti importanti o avevano fatto dei fuori pista; altre volte dimenticavo totalmente la bellezza e il fascino di simili purosangue da corsa quando per smontare in fretta e fuga le ruote quasi mi ustionavo per il forte calore trasmesso ai cerchi dai freni e dalle gomme dopo un turno di libere o di qualifiche. Altre volte provavamo e riprovavamo soluzioni tecniche saltando pasti e la cura per noi stessi perché c’era il campionato in ballo (ed i relativi enormi investimenti dei proprietari e dei piloti). Altre volte ancora suggerivo modifiche tecniche di progetto ma dovevo accettare di non esser creduto perché ero il più giovane in squadra e dovevo capire che era normale che non mi ascoltassero.

Poi, ad esempio, nel campionato europeo Renault Sport cambiarono, dietro mie indicazioni, la posizione del radiatore dell’olio del cambio sulle Clio 3.0 V6 ed il materiale, nonché le finiture superficiali, con cui venivano realizzati i supporti motore. Ricordo che un giorno, al circuito di Zandvoort, venne al nostro box un tecnico dell’organizzazione Renault Sport e chiese di parlare con chi disponesse almeno di un inglese scolastico che avrebbe permesso di capirci senza ricorrere ad imporbabili gesti. In quel caso misero avanti me e feci un ulteriore piccolo passo avanti in quel mondo conquistandomi ulteriore fiducia. Oltretutto quel che proponevo, venendo all’epoca dall’Istituto Tecnico Industriale, aveva effettivamente un senso con solide basi tecniche. Certo è che gli altri in squadra, pur ignorantelli in fisica, meccanica, matematica, lingua inglese, avevano massicce dosi di esperienza che io non potevo assolutamente avere. Quindi, assieme, ci completavamo.

Tutto questo accadeva mentre completavo il triennio di Meccanica all’Istituto Tecnico della mia città e, nonostante fossi giovane, avevo già avuto altre esperienze in altre squadre dove iniziai praticamente come garzone già a 16 anni. A quell’età ancor più giovane era dura accettare di essere sfruttati, era dura accettare di non contare nulla, era dura dover stare sempre zitti anche se si aveva una buona intuizione (ma a sedici anni devo essere onesto, il più delle volte, non lo erano), era dura vedere gli altri che facevano lavori importanti sui motori mentre io spazzavo da terra la segatura che assorbiva l’olio caduto ai box, era dura passare interi fine settimana sui libri a studiare motorismo invece di uscire con gli amici. Un sacrificio immane insomma, prima di dar vita a quel tipo di percorso che ti porta a conoscere ingegneri progettisti della Formula 1, della LeMans Series, della MotoGP, della Superbike che ti insegnano cose… cose assurde di un altro pianeta… Persone con le quali mantieni un ottimo rapporto proprio se non chiedi il favore, la raccomandazione, ecc.

Proprio a tal proposito, rispondendo a quanto scrivi, l’unico che personalmente ho conosciuto ed ho visto entrare in un’azienda italiana di supercar con una raccomandazione, è durato poco meno di un anno. Nel motorsport il sistema delle conoscenze-amicizie in realtà non funziona (e questo è un bene): o sei appassionato verace o sei fuori nel giro di poco tempo.

Quando ho iniziato io, ho iniziato giovanissimo (a sedici anni) e sono entrato a lavorare gratuitamente in un team di Turismo in pista Gruppo N e Gruppo A, ma ho spazzato i pavimenti a lungo prima di poter mettere le mani su una macchina da corsa (in quel caso erano Cosworth) e, solo dopo una certa perseveranza, ho avuto accesso a diversi team e, anzi, ho avuto il piacere di essere cercato. Ma questo è accaduto nel giro di oltre 10 anni.

Poi, sinceramente, negli ultimi anni non ho seguito più i cambiamenti su questo fronte perché non sono più interessato a lavorarci dentro come tecnico e mi sto dedicando da una parte a prototipi che amo progettare/costruire in autonomia (ma confesso che la strada prima di arrivare a quel che intendo io realmente è ancora molto lunga), dall’altra alla ricerca tecnica e tecnologica in diversi campi dell’Ingegneria avanzata.

Insomma può accadere che non ti basti più. Può sembrare un assurdo per chi desidera entrarci per iniziare la propria esperienza ma la realtà è che, se si nutre una profonda curiosità, si sa da dove si parte e non si ha la minima idea di dove si possa desiderare di arrivare.

Personalmente non sono nella posizione di poter dare consigli, le variabili sono innumerevoli, ognuno deve trovare il proprio percorso. Sono sicuro che se lo desidera veramente, un modo lo trova sicuramente… Potrebbe trovare ad esempio una strada da percorrere in autonomia per imparare quel che l’appassiona anche senza entrare in un team. Io non posso di certo dirlo, ma non credo sia impossibile. Cercando la soluzione potrebbe osservare una moltitudine di situazioni che non si aspettava e da cui poi se ne diramano altre ancora più inaspettate.

Cordialmente, Raffaele Berardi.

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La macchina da corsa più sottosterzante e sbilanciata che abbia mai visto e sulla quale abbia mai lavorato. Eppure per me, che ero solo un ragazzino con la passione che gli usciva dai pori della pelle, costruirla, assemblarla, provarla, ascoltarla in giro per il mondo, era il massimo.

 Estremamente più bassa e larga della limitata sorella minore stradale, con il doppio scarico centrale che borbottava fiamme in staccata e quella prepotente ala posteriore che stabilizzava il retrotreno, era cattiva e comunicativa lasciando presagire immediatamente le sue intenzioni.

Proporre nuovi schemi di motori a combustione interna

Rubrica: Motori alternativi | Le domande dei lettori

Titolo o argomento: Adottare nuovi schemi biella manovella

Rispondendo a: Remo

Remo scrive: Buongiorno. Mi chiamo Remo e sono un disegnatore meccanico. Ho ideato un nuovo tipo di motore a scoppio basato su ciclo due tempi con lubrificazione separata. Tale brevetto è stato pubblicato il 7/11/2019. Mi piacerebbe molto avere un vostro parere al riguardo e possibilmente capire come fare per svilupparlo. Ho anche creato una pagina facebook che si chiama “Motore a pistoni solidali 2 tempi” nella quale potete trovare un filmato di funzionamento e alcune relazioni nonché il brevetto. Ringrazio per l’attenzione e porgo distinti saluti.

Gentile Signor Remo La ringrazio per avermi preso in considerazione come riferimento per un parere. Io lo apprezzo molto da appassionato tuttavia non posso fornire informazioni di carattere progettuale perché questo tipo di studi costano veramente tanto. Anche volendo non avrei matematicamente tempo perché sono già completamente impegnato per i prossimi anni. Le posso fornire giusto qualche spunto vivendo l’ambiente da ormai 23 anni.

In ambito motoristico, ad esempio, non definiscono mai come nuovo un motore che adotta un differente schema rispetto all’ordinario ma utilizza comunque uno meccanismo biella-manovella. Quando ero un adolescente professori e tecnici delle aziende del settore battevano molto su questo tasto.

Altro problema che si verifica con questo tipo di progetti è che l’industria esistente generalmente non acquista varianti di questo tipo perché fuoriescono dalla ormai vecchia e obsoleta ma matura filiera ordinaria.
Il Wankel nonostante la sua celebrità, i suoi punti forti ed i suoi accettabili punti deboli, in qualità di ottima alternativa, su quanti veicoli lo trova installato?

L’ingombro e la disposizione del motore incidono fortemente sulla preferenza di uno schema anziché un altro. Il comune e ormai banale 4 cilindri in linea soddisfa i requisiti di estrema semplicità schematica, semplicità di assemblaggio, semplicità di funzionamento, semplicità di progetto (dovuta anche ad una mole immensa di casi di studio maturati in oltre 100 anni).

Le complicazioni dovute alle tenute ed alla trasmissione del lavoro meccanico vengono viste come problemi perfettamente evitabili con gli schemi dei motori ordinari. Persino in F1 soluzioni che offrivano immensi vantaggi (come le valvole rotative) ma avevano per contro complicazioni di questo genere, non sono state scelte. Troverà sempre dei tecnici che le diranno frasi del tipo: “Perché lo devo fare così se è più semplice farlo nel modo precedente e se conosco già le problematiche legate alla soluzione precedente ed il grado di affidabilità ed ho una enorme filiera che mi affianca e mi fornisce tutto il necessario a costi bassissimi?”.

Inoltre, quel che ho imparato personalmente (ma non è assolutamente legge, glie lo riporto solo perché potrebbe esserle d’aiuto, perdoni la mia ruvidità), è che quando un amante della tecnica idea qualcosa di diverso, che potrebbe rivelarsi un cambiamento utile o meno, trae maggiori vantaggi se realizza da solo la propria idea, la testa, la monta su un prototipo e verifica ai fini pratici come va e che problemi incontra. Fatto questo deve sempre chiedersi se tutto quanto il lavoro fatto porta dei vantaggi adottabili dalla moderna industria rispetto alle soluzioni precedenti.

Infine dovrebbe commercializzare autonomamente le soluzioni studiate, progettate e realmente realizzate qualora scopra che offrono dei vantaggi indiscussi. Oggi i metodi per andare sul mercato si son semplificati di molto e sono disponibili ad un bacino di utenza molto maggiore anche se questo, ovviamente, richiede una gran mole di consocenze ed esperienze sul settore.

Glie lo scrivo perché questo tipo di consiglio, sebbene ad alcuni possa sembrare (almeno inizialmente) ostile, porta generalmente enormi risparmi di tempo. Ho conosciuto persone che hanno realizzato soluzioni con schemi alternativi agli ordinari (come ha fatto lei) perdere addirittura 10-20 anni di tempo (e massicce quantità di denaro) con la credenza che le aziende potessero in qualche modo apprezzare un giorno. In realtà è molto difficile che le aziende apprezzino qualcosa che non permetta nell’immediato di chiudere meglio l’anno fiscale, soprattutto quando esiste un’alternativa collaudata che non richiede cambiamenti e offre già quel che si desidera.

E’ opportuno osservare poi come spesso capiti di realizzare progetti alternativi senza le basi fisiche, matematiche, tecniche necessarie a fare valutazioni di carattere termodinamico, di carattere geometrico, di carattere tecnologico nell’ambito dei materiali, dell’hardware o sotto l’aspetto economico, del mercato, della filiera, delle tecnologie produttive, dei vantaggi da esibire rapidamente al grande pubblico. Questo può impedire di “vedere” la corretta strada da intraprendere con le strategie necessarie per finalizzare un progetto.

Nonostante tutto questo è in ogni caso ammirevole il suo impegno, la sua passione, la sua mente. Se ha un’idea perché non rischiare, non tentare, non sbagliare e riprovare, fare esperienza e migliorare? Tenga sempre conto che è lei con la sua idea davanti al mondo e potrebbe rivelarsi una strategia sbagliata fare affidamento su altri anziché su sé stesso. Si potranno accettare prolifiche collaborazioni una volta che si è fatto il grosso ma tutte le prime mosse spettano a lei (così come la responsabilità di quel che fa).

E’ importante che prenda un telaio (anche già esistente e da poche centinaia di Euro), ci monti sopra un motore standard e poi su un telaio analogo ci monti il suo e faccia una valutazione oggettiva di tutto quel che accadrà (compresa una comparativa di tutti gli aspetti citati poc’anzi).

Sperando di averle fornito utili spunti (è questo il compito del mio Blog, ovvero non il dire come si fa ma il comunicare come ci si arriva, offrire degli stimoli, delle provocazioni…), Le porgo i miei Cordiali Saluti e le Auguro un Buon Lavoro.

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animatedengines.com offre una interessante gammadi schemi di motori, diffusi o meno, dalle più svariate architetture.
Una letteratura tecnica di oltre un secolo spiega i perché della preferenza di una soluzione anziché un’altra.

Formula 1, Ingegneria e analisi tecniche: la realtà è molto distante dai pensieri del pubblico

Rubrica: Curiosità tecnica da corsa | Le domande dei lettori

Titolo o argomento: La progettazione delle vetture

Rispondendo a: Alessandro

Alessandro scrive: Ciao, vorrei chiederti un parere. Come valuti per quanto possibile “senza avere dati in mano” la povera prestazione della Ferrari? Da appassionato, noto una sospensione che se paragonata a quella Mercedes sembra di 30 anni di differenza. Possibile che una squadra come Ferrari progetti una macchina che secondo loro presenta problemi all’avantreno a causa della sola aerodinamica? A me pare troppo riduttivo, ma soprattutto se fosse aereodinamica, non credo sarebbe così difficile porre rimedio. Secondo me la meccanica della Ferrari è la maggiore responsabile del semi-fallimento del progetto 2019. Hanno un problema di sovrasterzo, caricano davanti, ma la coperta è corta e perdono il retrotreno. Tutto ciò, ripeto da ignorante, a me sembra dovuto ad un pacchetto aero-meccanico cannato. Grazie per un parere da esperto. Se un giorno rinascessi, sarò un ingegnere.
Ciao

Buongiorno Alessandro,
ti ringrazio per la considerevole fiducia, tuttavia ben poco posso dire in merito alle vetture di Formula 1 della Ferrari o di altri marchi (e quando lo faccio solitamente mi chiedono di scrivere articoli tecnici per riviste che mi limitano molto nel fornire un quadro complessivo che illustri in modo esaustivo gli aspetti tecnici e tecnologici nonché, cosa fondamentale, le tecnologie del futuro, eccezion fatta, va riconosciuto, per piacevoli esperienze condotte con riviste specializzate quali ad esempio Newton e AutoTecnica che mi hanno dato fiducia e mi hanno lasciato ampi spazi per fornire una visione completa d’insieme degli argomenti trattati).

Posso dire ben poco perché, come è naturale che sia, i progetti non vengono resi noti*, così come i relativi valori di interesse. Senza dati alla mano si tratta solo di un gran chiacchierare, quello che solitamente riempie giornali sportivi e forum vari. La realtà è che la Ferrari l’auto (quasi) perfetta la sa fare così come la sanno fare tutti gli altri, quello che crea i problemi sono solitamente il regolamento ed i piloti di cui si dispone. Il regolamento viene appositamente modificato, anche con interventi importanti, ogni tot anni al fine di rimuovere i privilegi alle squadre che meglio si son trovate con quello precedente. I cambiamenti di regolamento, oltre che per la sicurezza, servono sostanzialmente a questo. La Ferrari, nei primi del 2000, ha realizzato vetture che sono decisamente più performanti delle attuali nonostante siano passati quasi 20 anni. Il regolamento di quel tempo gli calzava alla perfezione. La Ferrari sa benissimo cosa sia il sottosterzo, il sovrasterzo e l’intera dinamica del veicolo. Lo sa talmente bene da annoiarsi quasi. Quello che la Ferrari, come tutti gli altri, deve fare ogni volta è: trovare il modo di adattare le sue conoscenze tecniche alle restrizioni del regolamento. Da qui emergono le difficoltà. Gli anni di Schumacher presentavano la giusta quadra: i tecnici giusti, la vettura giusta, il regolamento giusto, il pilota giusto e la direzione giusta. Tanti fattori di grande importanza hanno confluito in un punto ben preciso del tessuto tecnico interno all’insieme matematico denominato “Vittoria”.

*Io stesso non fornisco più da qualche anno info di carattere progettuale perché ci sono state aziende che non riuscivano a risolvere problemi tecnici con i loro prototipi e mi hanno contattato fingendosi semplici lettori per avere soluzioni gratuitamente (siamo in Italia).

Per quanto riguarda gli Ingegneri… ci tengo a sottolineare come essi rappresentino in realtà una variante dell’ignoranza qualora le loro conoscenze generali non siano fortemente forgiate da applicazioni pratiche e numerosi esercizi di esperienza. In sostanza un Ingegnere non sa affatto cosa occorre ad una vettura sottosterzante per non esserlo e non sa affatto districarsi in questo mondo, proprio perché fortemente ignorante. Gli Ingegneri di successo che vedi nel Motorsport non hanno seguito solo un percorso di studi che possiamo definire “ordinario”, ma hanno iniziato le loro carriere (spesso da studenti) in team minori, sovente di proprietà del padre, dello zio, dell’industriale locale che ama i motori… conoscendo così i problemi e le difficoltà che caratterizzano questo mondo. Lo studio in Ingegneria ha dato loro una visione analitica e matematica dei problemi che loro hanno appreso in via del tutto pratica nelle loro esperienze ad esempio estive.
L’Ingegneria è quella sublime specialità che ha profonde origini radicate nell’analisi matematica, l’Ingegneria nel Motorsport ha origini nella pratica di chi, anche da sé, ha costruito dapprima un piccolo kart, poi qualcosa di più, ancora di più, sempre di più… costantemente nel tempo martellando giorno dopo giorno. Puoi tranquillamente divertirti a testare gli effetti del sotto/sovrasterzo costruendo ad esempio un telaio a traliccio e spostando le più importanti masse in gioco lungo gli assi del veicolo.

Ringraziandoti ancora per la domanda e la fiducia riposta in me, ci tengo a precisare che non sono ancora laureato proprio perché ho prediletto che un’enorme mole di pratica accompagnasse i miei studi teorici (sono un ricercatore in campo tecnico e tecnologico avanzato). Se desideri capir meglio prova a costruire anche una semplice scatola magari in legno, incontrerai una quantità tale di problematiche e di lacune che ti formeranno come raramente un ingegnere viene formato ma, d’altra parte, senza la parte teorica, sarà difficile avere una visione d’insieme che è particolarmente affascinante (su quest’ultima parte proprio non ho un esempio semplice per stimolare la curiosità verso questa sublime scienza).

Cordialmente, Raffaele Berardi.

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Cosa studiare per progettare un motore?

Rubrica: Curiosità tecnica da corsa | Le domande dei lettori

Titolo o argomento: La progettazione dei motori

Rispondendo a: Kevin

Kevin scrive: “…Sono un giovane disegnatore meccanico con la smisurata passione per le automobili, in particolare tutto quanto riguarda il motore.
Con questa mail Le vorrei gentilmente chiedere di indirizzarmi verso la lettura e lo studio di testi inerenti a tutto ciò che contempla l’universo del motorismo, della progettazione di motori e del loro disegno”.

Buongiorno Sig. Kevin,
la ringrazio per avermi posto la domanda. I libri sono preziosi e allo stesso tempo pericolosi (nel senso che andrebbero studiati sempre con senso critico e cercando riscontri). Nel caso del motorismo, ad esempio, i libri forniscono generalmente le basi per “i conti della serva” come vengono chiamati in gergo.

I calcoli della serva sono i calcoli di base per avere un’idea generale di che motore si ha intenzione di progettare e di cosa si potrebbe teoricamente ottenere. Il problema, però, è che nella realtà è molto difficile che si progetti un motore partendo da uno o più libri. Quel che permette la progettazione di un motore è generalmente l’esperienza sul campo fatta (in principio) di una serie di errori e rotture che si concludono con il raggiungimento (in seguito) di progetti equilibrati che rappresentano sempre il risultato di “compromessi” e di “aggiustamenti” della teoria.

Con gli anni ci si accorge ben presto che si consultano più i propri dati, i propri appunti, o quelli forniti dall’azienda per cui si lavora, piuttosto che i libri di testo. In altri casi si consultano dati che si ottengono da aziende partner con le quali si è collaborato. Ma è veramente molto difficile che si inizi e concluda un progetto di un motore operando sui libri perché si rischia, come nel caso di alcuni amici che hanno preso parte al progetto della “Formula Student”, di realizzare oggetti che funzionano male o non funzionano affatto a causa di schemi di ragionamento “rigidi”. Pur con tutta la passione e la buona fede possibile.

Per i calcoli della serva le consiglio un qualunque testo di motori presente nelle librerie specializzate che trova con estrema facilità su qualunque motore di ricerca. Per una visione più chiara della meccanica, dei materiali, dei meccanismi le consiglio di cercare testi di Ingegneria Meccanica o di Ingegneria dell’Autoveicolo (per i quali si deve sempre tener conto del carattere matematico-analitico con cui sono scritti, proprio al fine di estendere la concezione del perché qualcosa, da un punto di vista matematico, funziona in un modo preciso). Per un’estensione di questi temi al fine di realizzare un primo progetto il mio modesto consiglio è di buttarsi, costruire e rompere.

E’ necessario poi completare il quadro con lo studio delle lavorazioni meccaniche necessarie ad ottenere i pezzi che si progettano. Conoscere come si realizza un motore è utile a rendersi conto di una moltitudine di cose in progettazione e ad andare d’accordo con chi opera in officina (figure che, nell’ambito della passione, non nell’industria, possono corrispondere con la stessa persona). Il monocilindrico è piacevolissimo per iniziare, permette di approcciare ogni problema dall’unità e, solo in seguito, estendere ogni dettaglio verso maggiori “complicazioni” (senza contare poi che risulta anche molto meno dispendioso da testare, ed eventualmente rompere, nei modi più svariati).

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Motori con architettura Boxer o Flat?

Rubrica: Curiosità tecnica da corsa | Le domande dei lettori

Titolo o argomento: Architetture a confronto per la soluzione a cilindri contrapposti
Rispondendo a: Giacomo

Giacomo scrive: Mi stavo chiedendo come mai, benchè esistano molti V12 Flat (spesso erroneamente chiamati Boxer) ad alte prestazioni, per le competizioni si preferisca la “configurazione” dell’albero motore “non-boxer”.

La differenza tra Boxer e Flat, soluzioni che prevedono entrambe la disposizione dei cilindri contrapposti (ovvero con un angolo tra le bancate di 180°), sta nello schema dell’albero a gomiti. Più precisamente nel numero e nella disposizione dei perni di biella, nonché dei relativi bracci di manovella, che si ripercuotono su importanti caratteristiche del motore. Differenze che sono tutt’altro che trascurabili. Sul motore di tipo Boxer ogni biella ha, sull’albero motore, il suo perno di biella corrispondente (i pistoni si muovono l’uno in direzione opposta all’altro), sul motore di tipo Flat le bielle sono ancorate a coppie sullo stesso perno di biella (i pistoni si muovono nella stessa direzione… i cavalli scalpitano).

Questa differenza influisce in maniera non trascurabile sulle sollecitazioni (torsione, flessione, taglio) cui è sottoposto l’albero motore. Quello della soluzione Boxer è più lungo dovendo disporre del 50% in più di bracci di manovella necessari a sostenere i perni di biella singoli. Un motore 12 cilindri a V di 180° (così definisce L’Ingegner Forghieri il suo motore 12 cilindri Flat) dispone di 12 bracci di manovella, ogni coppia di bracci sostiene un perno di biella dove sono vincolate due bielle. Lo stesso motore, se adottasse lo schema Boxer, disporrebbe di 18 bracci di manovella. Questi andrebbero ad aumentare significativamente non solo la lunghezza dell’albero a gomiti, e quindi dell’intero motore, ma anche le masse in gioco.

Il tutto comporta notevoli difficoltà in fase di progettazione perché un motore più lungo pesa di più (a parità di tutti gli altri dimensionamenti), ingombra di più e costa di più. Ne segue che, nelle competizioni, anche se vi è una sospetta maggiore fragilità della soluzione Flat, l’ideale sia senz’altro proprio questa soluzione per via della minor massa e del minore ingombro. Questi fattori rappresentano la strada ideale per incrementare le prestazioni del propulsore (minori masse in rotazione significa maggiore numero di giri raggiungibile e conseguente maggiore potenza sviluppabile) e agevolare molto il lavoro cui saranno sottoposti telaio, sospensioni e gomme, da cui dipenderà poi la conseguente guidabilità del mezzo.

Ne segue che la soluzione Flat, più estrema, è più idonea proprio in un ambiente come quello delle corse dove gli organi sottoposti a sollecitazioni esasperate sono ripetutamente controllati e sostituiti in quanto deve essere soddisfatta principalmente l’esigenza della prestazione, mentre la durata la si tiene sì in considerazione espressamente in relazione all’impiego agonistico.

Gli schemi di tipo Flat sono stati impiegati, per quanto concerne il mondo del Motorsport, su motori 12 cilindri contrapposti come quelli delle Ferrari 312B e della Porsche 917/30 che, nel primo caso, ispirarono poi versioni stradali con omologhi schemi (si vedano le Ferrari 512 BB e TR), mentre nel secondo caso furono abbandonati a favore di unità più compatte probabilmente anche con l’idea di sviluppare conoscenze approfondite in diversi ambiti degli schemi motoristici e generare una propria personalità aziendale (un brand).

Nonostante ciò la soluzione a cilindri contrapposti non ha trovato larga diffusione perché ad un vantaggioso abbassamento del baricentro corrispondono pecche non trascurabili come le complicazioni circa l’alloggiamento del motore nel telaio (che implica sacrifici nella realizzazione dello schema delle sospensioni), nonché ulteriori complicazioni per il passaggio dei collettori e per diversi interventi di manutenzione che possono richiedere anche lo smontaggio dell’intero propulsore dal suo vano. Tali difficoltà aumentano tanto più quanto più è alta la cilindrata ed il numero di cilindri.

In sostanza il progettista, davanti alla scelta dello schema motore, si chiederà come dovrà essere sollecitato il suo albero motore (principalmente flessione e torsione ma anche taglio), come soddisferà le sue necessità circa l’equilibramento (forze centrifughe, forze alterne del 1° ordine, coppie dovute alle forze centrifughe, coppie dovute alle forze alterne del 1° ordine, forze alterne del 2° ordine e coppie dovute alle forze alterne del 2° ordine) e come desidererà che la coppia venga erogata, osservando quindi anche l’ordine di accensione nei cilindri (che influiscono sulla regolarità di funzionamento del motore nonché sul caratteristico suono emesso, sul suo modo di respirare e sul suo modo di vibrare).

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Motori con architettura Boxer o Flat?
Motori con architettura Boxer oppure a V?

 Motori a cilindri contrapposti - Architettura Boxer

Motori a cilindri contrapposti - Architettura Flat

Electronic Throttle Control: modificare le curve di risposta dell'acceleratore drive by wire

Rubrica: Incominciamo a parlare di automobili | Le domande dei lettori

Titolo o argomento: Effetti della modifica della curva di risposta dell’acceleratore elettronico

Risponendo a: Matteo

Matteo scrive: Ciao Ralph, ho scoperto da qualche giorno il tuo sito e ho letto molti dei tuoi contenuti poiché da tempo sono interessato agli approfondimenti tecnici legati al mondo della meccanica, informatica, elettronica (ho una laurea magistrale in Ing. Informatica al Politecnico di Milano). Da diversi mesi monto sulla mia auto un dispositivo che aumenta la reattività dell’acceleratore e mi domando quanto questo possa influire sull’usura del motore.

Mi pare di aver capito che tali dispositivi non fanno altro che modificare la “mappa del gas” praticamente amplificando (o variando) la risposta del potenziometro del gas, in modo che il corpo farfallato venga aperto più rapidamente e secondo una curva diversa da quella di fabbrica inserita nella centralina motore (immagino sia il modulo PCM)

In linea teorica questo non dovrebbe influenzare più di tanto l’usura del motore, ma, leggendo sul tuo blog, ho trovato una tua considerazione in merito all’utilizzo del gas che aperto oltre il necessario manderebbe sotto sforzo il motore.

A questo punto mi domando, quanto possono influire sull’usura del motore dispositivi che modificano la risposta del gas? Sono relativamente sicuri ?

La casa madre costruisce una mappa così “lenta” solo per motivi di inquinamento o in realtà anche per affidabilità, o semplicemente marketing su modelli di auto destinati ad un utenza più familiare e non sportiva?

L’acceleratore elettronico offre sostanzialmente il vantaggio di rilevare la richiesta di carico del guidatore e fornirla in entrata alla centralina elettronica che la restituirà “corretta” al sistema di alimentazione del motore. Questo offre una risposta più morbida e digeribile dalla maggior parte dei guidatori, permette di evitare carichi eccessivi in quei transitori in cui le condizioni del motore non permettono di erogare nell’immediato la coppia e la potenza richieste (ovvero quelle situazioni in cui ci accorgiamo che alzando il piede dall’acceleratore il motore sale di giri più agevolmente) e permette di ridurre l’inquinamento in quanto si riducono gli incombusti che passano direttamente allo scarico e, in generale, la quantità di carburante immessa in camera di combustione.

Modificare le curve di risposta della centralina alle diverse azioni sull’acceleratore, può rendere la guida più “scattosa” (effetto on/off), più allegra e sportiva e quindi più diretta e rassomigliante a quella che si aveva quando il corpo farfallato, o i corpi farfallati, erano azionati dal filo meccanico. Nonostante ciò anche in quel caso vi era una gran differenza tra l’alimentazione mediante carburatori o iniettori in quanto la misura della portata d’aria (presente nei sistemi di alimentazione a iniezione) già forniva una prima correzione nella portata degli iniettori nonostante il comando dell’acceleratore fosse di tipo meccanico.

Quindi la situazione più diretta, scorbutica, sportiva e inquinante era quella con l’acceleratore meccanico ed i carburatori, mentre la risposta più dolce e ottimizzata è ora rappresentata dall’iniezione, la sensoristica, la centralina elettronica ed il drive by wire.

La guida diventa talmente dolce e la progressione costante (grazie anche ad opportuni anticipi di accensione, leggi di apertura delle valvole e via discorrendo) che motori con una certa potenza rendono i veicoli gestibili anche da un’utenza meno esperta ed anche in condizioni di fondo stradale sconnesso o bagnato.

Modificare le curve di risposta all’input dell’acceleratore elettronico sollecita di più il motore ma i picchi di tali sollecitazioni, se il motore è rimasto originale, restano gli stessi. Il numero di giri non cambia, la massima potenza erogata e la relativa coppia, nemmeno. Cambia la rapidità con cui variano le sollecitazioni (previste in fase di progettazione) e tutt’al più la “sofferenza” della trasmissione. Penso, ma non ho testato la cosa, che cambi anche la rapidità con cui viene smaltito il calore, problematica dalla quale potrebbe emergere una certa usura non trascurabile (ma questo dipende molto da quanto il guidatore “insiste” nelle sue richieste; una variazione saltuaria o per brevi tratti non penalizza particolarmente la vita utile prevista del gruppo motopropulsore).

Il problema ora è: modificando le curve di risposta all’azione sull’acceleratore, sono rilevabili “cronometricamente” dei miglioramenti in termini di prestazioni? Oppure il sound si fa più accattivante ma l’attesa che si verifica nell’accelerare la massa del veicolo è tale da generare solo maggiori emissioni? Non di rado un’azione più dolce genera un’erogazione della coppia persino migliore, tutto sta nella capacità del motore di “respirare” e quindi avere una certa natura intrinseca nel voler salire rapidamente di giri; ciò dipenderà dai suoi condotti, dalla sua distribuzione e dalle sue geometrie di progettazione tipiche dei “calcoli della serva” (ovvero i calcoli di routine che si fanno inizialmente).

Generalmente sonde e cronometri offrono risposte decisamente migliori delle mie : )

Nelle immagini

Il sistema ETC (Electronic Throttle Control) della Bosch. Il guidatore effettua la sua richiesta di potenza e coppia, la centralina, grazie ad innumerevoli rilievi operati dai sensori motore, fa da supervisore e calcola in una frazione minima di secondo se la richiesta può essere soddisfatta o se genererà maggiori emissioni perfettamente evitabili. La centralina elettronica, a differenza del guidatore, conosce perfettamente la situazione del motore in ogni istante: temperature e pressioni in gioco, curva di coppia e potenza, numero di giri, velocità, dettagli della guida, condizioni della combustione, predisposizione o meno del motore a salire di giri in un determinato transitorio, rischio di detonazione, fattibilità o meno di una precisa richiesta e compatibilità della stessa con i parametri in cui il motore dovrebbe rientrare…

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Rubrica: Incominciamo a parlare di automobili
Rubrica: Domande tecniche dei lettori

Acceleratore elettronico BOSCH - Sistema ETC Electronic Throttle Control Acceleratore elettronico BOSCH - Sistema ETC Electronic Throttle Control

Meglio i motori di una volta o i motori di oggi?

Rubrica: Incominciamo a parlare di automobili | Le domande dei lettori

Titolo o argomento: Si cerca sempre più di produrre quello che il cliente desidera ma… chi lo dice che il cliente conosce quello che vuole?

Risponendo a: Luca

Luca scrive: G.le Raffaele, volevo chiederle se è fondata l’idea diffusa che i propulsori di un tempo (diciamo 20-30 anni fa) siano più resistenti e longevi di quelli odierni; che facciano più km e che siano più inclini ad essere maltrattati senza perdere prestazioni.

Non esiste una distinzione netta tra i motori di una volta e quelli di oggi. In realtà sono esistite anche diverse fasi intermedie tra il passato ed il presente e immagino che altrettanto accadrà anche in futuro. Tuttavia immaginando di cogliere a cosa si riferiscono diversi lettori che mi hanno posto domande sul tema, ed in particolare Luca, possiamo andare ad analizzare delle sfumature che spesso sfuggono ma che in realtà rappresentano le fondamenta del motorismo. Se siete curiosi di avere una risposta tanto immediata quanto rude, diciamo pure che apprezzo di più i motori del passato (ma sarebbe opportuno chiedermi: “Di quale passato?”). Apprezzo le complicazioni e la “tecnologia dominante” solo sui mezzi da pista e sui prototipi utili agli studi delle innovazioni, per la strada invece prediligo la semplicità, l’economia di esercizio ed il buon vecchio ed affidabile concetto che “tutto quello che non c’è, non si rompe”.

I motori del passato erano così: semplici*, abbondanti, pesanti, traballanti, rumorosi, imprecisi, estremamente diversi gli uni dagli altri**, grezzi, meno performanti ma affidabili, resistenti, funzionanti anche quando qualcosa era fuori posto, in grado di portare a termine il loro compito anche in condizioni severe, anche con riparazioni di fortuna. Inoltre nei motori di un tempo non si avvertiva una gran differenza a mano a mano che si usuravano perchè erano meno spinti nonché imperfetti fin dalla nascita; le condizioni dei cilindri raramente erano uniformi, avevano numerose imprecisoni già da nuovi e rendevano molto meno di quanto potevano fin dai primi chilometri (credo che praticamente, se andiamo abbastanza indietro con gli anni, nessuno avesse le valvole che stagnassero correttamente contro le sedi valvole, né le punterie mai perfettamente in ordine, con gli ovvi problemi che ne derivano per le valvole e per la combustione). Il dimensionamento degli organi era più generoso e, se da una parte questo implicava maggiori masse a bordo del telaio, dall’altra permetteva una maggiore dissipazione di calore ed una minore fragilità generale di testate, monoblocchi, manovellismi…

*Quindi teoricamente anche più economici, ma non è detto: la tecnologia meccanica pur basandosi sempre sui medesimi concetti si è evoluta magistralmente con attrezzature e strumentazioni che fanno letteralmente impressione solo a vederle. Trovate alcuni spunti sul nostro canale YouTube, vedi i link correlati in basso.

**Per via delle relativamente enormi tolleranze di produzione che rendevano diversi tra loro persino motori dello stesso tipo; le elaborazioni a suo tempo permettevano ampi margini di miglioramento principalmente per questo motivo.

I motori di oggi sono molto più precisi, sono più controllati, sono più performanti ma allo stesso tempo più fragili, più delicati, più articolati, più sensibili. Hanno organi le cui dimensioni sono ridotte all’osso, sia per ridurre in maniera affinata i costi, sia per favorire l’incremento di prestazioni. Dispongono di numerosi sensori, elettrovalvole, attuatori, comandi ride by wire. Quando si accende una spia si può restar fermi per motivi incredibilmente sciocchi perchè la centralina va in emergenza e impedisce l’avviamento oppure taglia la potenza al motore. Ma quando apri il gas… spingono quasi sempre al loro massimo con coppie subito disponibili che stressano il motore stesso ma che offrono una brillante sensazione di guida. Per questo si avverte, a differenza del passato, il calo di prestazioni con i chilometri. La coppia inoltre è espressa in maniera più uniforme e corposa su un range più ampio di giri (il motore diventa sempre più come un atleta iperstimolato a fare scatti e ripetute ma, ecco che al primo calo di nutrienti o a temperature sfavorevoli, insorge il crampo, la contrattura o, peggio, lo strappo o la rottura (l’analogia in questo caso calza a pennello più che mai). I motori di oggi gravano meno sull’avantreno (ci riferiamo quindi ai motori delle utilitarie, ovvero dei veicoli che circolano maggiormente sulle strade di tutti i giorni) rendendo più facile migliorare l’handling dei veicoli (ovviamente assieme a tutta una collezione ben nutrita di migliorie che coinvolgono il comparto telaio-sospensioni) e la conseguente facilità di guida.

Nel periodo di cambiamento degli ultimi 10-20 anni ho assistito al restauro (revisione, rettifica, riparazione…) di centinaia di motori (probabilmente, oramai, migliaia) che, grazie anche all’aumento delle pressioni di sovralimentazione e dei migliori sistemi di alimentazione, esprimevano potenze specifiche via via più elevate (parliamo sempre di motori stradali) a scapito però di testate che si fratturavano a causa di leghe e/o sezioni non adeguate alle sollecitazioni termiche, di difetti di fonderia e di errori di progettazione delle geometrie (con ottimizzazioni topologiche assai spinte). Con il tempo pare (ma sottolineo pare in quanto devo aver modo di verificare per un tempo sufficiente quanto affermo) che quest’ultimi problemi siano stati risolti e sia sempre più difficile rompere le testate per frattura. Ad ogni modo questo non vuol dire che i problemi scompaiono ma che possono spostarsi altrove (si veda l’esempio riportato in foto).

D’altra parte è vero però che molte assistenze non riparano più (da ormai molto tempo) le parti meccaniche danneggiate ma le sostituiscono con altre nuove (operazione ben più facile che sta creando non pochi problemi nella filiera delle lavorazioni meccaniche di precisione***) e questo implica un errore nel tracciamento di dati e statistiche. Fornire infatti alle aziende, operanti nel settore della meccanica di precisione, parti da riparare, significa collezionare dati su quanto stia realmente accadendo nella determinata filiera; viceversa gettare parti di motore sostituendole immediatamente con altre nuove, a prescindere dal fatto che sia realmente necessario o meno, riduce la quantità di dati che si possono avere per definire il reale andamento delle volontà di un preciso mercato. Come a dire: se non portano più al rettificatore testate del tale marchio da riparare, egli potrà pensare che non si rompano più, ma potrebbe anche essere che il tale marchio, invece di farle riparare ora preferisca sostituirle per via di nuove direttive ad esempio atte a non far sapere se c’è stato un reale cambio di qualità del prodotto. Il motorismo oggi è assai più complesso di quanto si possa immaginare.

***Mi riferisco al numero calante di officine rettifiche che, se continuerà così, porterà con sé la vera conoscenza dei motori, la vera manodopera specializzata e una cultura a dir poco preziosa nonché particolarmente rinomata nel mondo quando accostata alla parola Italia.

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Multimedia Ralph DTE
Incominciamo a parlare di automobili

Rottura pistone motore metano turbo

Rottura di un pistone per difetto di progettazione. Il pistone fa parte di un recente motore turbo
alimentato a metano dalla piccola cilindrata ma dalle prestazioni decisamente sportive (direi persino
troppo sportive). L’analisi circa le cause della rottura di questo organo verrà riportata in un articolo
apposito. Un occhio esperto può già notare solo da questa foto 4 o 5 dettagli che spiegano come è avvenuta
la rottura. Dagli altri scatti macro che abbiamo effettuato in laboratorio si notano altrettanti ulteriori
dettagli. Senza ombra di dubbio il problema nasce da un’errata progettazione ma, volendo essere imparziali,
è corretto osservare anche che i clienti desiderano la moglie ubriaca e la botte piena: desiderano auto con
piccoli motori, parsimoniosi, che costano poco, che corrono tanto e che non si rompono. E’ evidente che ciò
non è possibile per i principi stessi su cui si basa l’Ingegneria e, prima ancora, la fisica che regola questo
Universo. Il motore aveva circa 10.000 km quando si è rotto la prima volta e qualche altro migliaio
quando si è rotto la seconda volta. La casa madre non ne vuol sapere di sostituirli in garanzia,
tantomeno con un prodotto correttamente aggiornato.

Trade off tra produzione e accumulo in un sistema fotovoltaico ad isola (o stand alone)

Rubrica: Accumulo dell’energia | Le domande dei lettori

Titolo o argomento: L’analisi delle diverse esigenze domestiche (le variabili) e l’educazione al consumo (la costante) rappresentano la base per il calcolo di un impianto correttamente bilanciato

Risponendo a: Massimo

Massimo scrive: Nel 2014, in base a dati che ho trovato in rete, la produzione energetica da fotovoltaico si è attestata intorno ai 23.299 GWh rappresentando quasi il 9% della produzione interna.

La diffusione del fotovoltaico “familiare” non porta grandi benefici per l’utenza domestica in quanto non ricava molto dalla vendita dell’energia prodotta.

Nel corso dei test delle soluzioni di accumulo che hai individuato hai trovato un trade off tra potenza in accumulo installata e superficie fotovoltaica di produzione, ossia un rapporto tra potenza installata in accumulo e potenza teorica prodotta?

A tuo avviso, la soluzione migliore è disporre di un accumulo sufficiente alla produzione massima prevista oppure ad un accumulo parziale (da cui attingere per uso domestico) per poi immettere in rete il residuo eccedente? Ammesso che sia fattibile.

Ti chiedo questo per capire se sia possibile pensare ad un sistema che garantisca un guadagno immediato dato dall’uso “in loco” dell’energia prodotta, da un carico in linea dell’eccedenza e da un costo accettabile garantito da una potenza di accumulo che garantisca il solo uso domestico dell’energia prodotta. Grazie degli spunti di riflessione che offri e buona giornata.

Analisi delle esigenze, educazione al consumo e bilancio

Buongiorno Massimo, la risposta alla tua prima domanda è affermativa ed ovviamente nei miei casi di studio ho rilevato un consistente trade off come professionalmente l’hai chiamato tu. Il sistema deve essere opportunamente bilanciato altrimenti è sufficiente una settimana di pioggia (esempio di test che ho condotto per mesi e mesi) e l’accumulo non riceve più nulla di significativo. Da questo punto di vista posso accennarti che c’è chi ha preferito sovrabbondare sul sistema di accumulo mantenendo un impianto fotovoltaico standard e chi ha preferito fare il contrario installando un impianto fotovoltaico sovrabbondante rispetto all’accumulo al fine di garantire la ricarica anche in condizioni sfavorevoli (es. cielo nuvoloso). Ci arriviamo per gradi nel seguito, considera in ogni caso che l’analisi delle diverse esigenze domestiche (che rappresentano le variabili) e l’educazione al consumo (che rappresenta la costante imprescindibile) sono di fatto la base per il calcolo di un impianto correttamente bilanciato. Tutti i calcoli, in gergo definiti “della serva”, vengono dopo.

Vantaggi

Premesso che stiamo parlando comunque di tecnologie ormai vecchie che gradualmente sto abbandonando o, in alcuni casi, modificando abbondantemente (anche se la massa le considera nuove perchè ne sente parlare solo ora), ognuna delle due opzioni ha, ovviamente, vantaggi e svantaggi. Naturalmente nel primo caso si ha una lunga autonomia anche in assenza di sole (in una casa di 100 mq con normali utenze e un’accumulo ben studiato ma dalle prestazioni limitate per contenere i costi, circa una settimana) mentre nel secondo caso si ha un impianto fotovoltaico più ingombrante ma che produce quantità utili di energia anche con poco sole.

Svantaggi

Se si abbonda con il sistema di accumulo d’altra parte si hanno costi iniziali molto alti e la necessità di acquistare solo materiale eccellente (tipo di educazione che purtroppo non ha successo nel nostro paese per ragioni che tratteremo adeguatamente in articoli dedicati), così come la consapevolezza che prima o poi l’accumulo andrà integralmente sostituito, quantomeno gli accumuli oggi proposti in commercio). Fare la scelta inversa implica la necessità di abbondanti spazi per l’installazione dei moduli fotovoltaici con tutti i problemi che ne seguono (disponibilità di spazio, vincoli, permessi, interferenze strutturali, barriere architettoniche e/o naturali, estetica, ecc..).

Cenni sui fattori influenti

Può sembrare fuori tema ma molto dipende, prima di ogni altra cosa, dall’educazione di una famiglia all’uso dell’energia. Banalità come l’uso di computer portatili al posto dei fissi, l’adozione di luci con cella di presenza che quindi si spengono automaticamente, elettrodomestici di alta gamma (quindi non quelli ai quali siamo abituati di solito, ci sono infatti particolari elettrodomestici* che offrono consumi minimi e che ti posso garantire non sono né pubblicizzati né si trovano nei normali negozi o grandi superfici), il numero di donne presenti in un’abitazione e molto altro che non possiamo pubblicare, per ragioni di riservatezza, influiscono molto sulle prestazioni dell’impianto.

Un esempio inaspettato

In una famiglia con padre, madre e 3 figlie femmine (caso che mi è capitato spesso), gli asciugacapelli sono accesi molto di frequente e con assorbimenti considerevoli per ben 4 dei 5 componenti del nucleo familiare. Questo è un tipico modo per abbattere la capacità delle batterie, siano esse al piombo o agli ioni di litio. L’asciugatura dei capelli con sistemi di deumidificazione (cosa che ho testato per anni e che sono solito fare in inverno), oltre a rappresentare a mio avviso un beneficio per i capelli ed il cuoio capelluto (che non vengono stressati dal consistente calore localizzato) permette un’asciugatura rapida e con consumi esigui (certo anche in questo caso dipende molto da come è stato realizzato l’impianto di deumidificazione e dalle caratteristiche dell’abitazione).

Una corrente di pensiero diversa

Dubito però che gli italiani desiderino usare un manuale di utilizzo della casa simile a quello di una procedura pre-volo. Troppo complicato, impegnativo, atipico e comprensibile più dagli appasionati di autentica tecnologia che dalla massa. L’abitudine alla comodità rappresenta un forte limite per lo sviluppo di un paese al punto che quando si diventa schiavi delle comodità non ci si rende conto che con un minimo di impegno e organizzazione si può invece diventare “liberi” (cosa di ben altro valore la quale a mio avviso non ha prezzo).

La messa in rete

La messa in rete, secondo il mio modesto pensiero (ma io non pretendo di essere nel giusto), è completamente inutile alle condizioni attuali, anche per tutti i problemi e le discussioni che stanno emergendo tra società elettriche, nazione, gestore dei servizi, installatori, utenti, ecc.. Inoltre se viene prodotta energia eccedente, questo si verifica solo per alcuni mesi all’anno e tale energia può essere agevolmente impiegata, tramite opportuna programmazione hardware, per migliorare ulteriormente il clima domestico non solo per quanto concerne la temperatura bensì anche per la deumidificazione calibrata ed il ricambio dell’aria controllato con un guadagno impressionante in termini di salubrità dell’aria (ricordiamo che l’ambiente domestico, anche se può non sembrare, è quanto di più inquinato c’è a questo mondo per via delle polveri, della presenza sovrabbondante di formaldeidi, per le percentuali notevoli di anidride carbonica che si accumulano, per i materiali da finitura, ecc.) e di qualità della vita. Quindi un’eccedenza, se un impianto è ben fatto, non si verifica mai.

Per fortuna esiste lo Smart Grid (anche per uso privato)

Se utilizzassimo addirittura Smart Grid di quartiere (indipendenti quindi dalla rete, altra tecnologia sconosciuta ai più in Italia, nonchè scarsamente stimolata) allora sarebbe utilissimo mettere in rete (mi riferisco sempre e solo all’interno di un quartiere) l’energia affinchè ad esempio le famiglie che la mattina escono per recarsi a lavoro e che dispongono di un sistema di accumulo con uno stato di carica ottimale, redistribuiscano a costo zero l’energia eccedente, prodotta ad esempio dal loro fotovoltaico, alle casalinghe o a chi lavora in casa. Viceversa otterranno nuovamente dallo stesso Smart Grid energia supplementare all’occorrenza non appena il sistema rileverà la loro presenza in casa e l’aumento dei carichi elettrici.

Una corrente di pensiero diversa – Parte seconda

Ma se qualcuno riesce a mettere d’accordo anche solo le famiglie di un condominio italiano mi faccia sapere… perchè stiamo attraversando una fase di individualismo puro ed un immane timore di essere fregati (cosa che generalmente porta a fidarsi di chi non si deve e a non fidarsi di chi lo meriterebbe; tipico ormai e largamente trattato sui testi di psicopatologia).

La fisica sostiene l’autoproduzione, l’autoconsumo e le reti a corto raggio

Mettere in rete per inviare energia elettrica alle società elettriche è impegnativo anche da un punto di vista prettamente “fisico” per le enormi dispersioni di energia lungo i cavi. Mettere in rete sulle brevi distanze è tutt’altra cosa. Ad esempio in un gruppo di villette a schiera, realizzare uno o due sistemi di accumulo, oltre a costare meno se diviso per più famiglie, ottimizza l’accumulo e la gestione dell’energia in quanto è molto meno probabile che vi siano degli sprechi. Quando il mio impianto è carico ad esempio, l’energia irraggiata dal sole viene sprecata dai miei pannelli e non va in rete nemmeno ai miei vicini perchè non abbiamo ancora il nostro Smart Grid personale. D’altra parte se avessi messo in rete la mia energia, l’impianto non sarebbe più stato di mia proprietà, non avrei potuto progettarlo come dico io, non avrei potuto usare l’energia prodotta solo per me e non avrei potuto disdire i contatori. Quindi quando produco energia eccedente effettuo un’azione sul clima dell’abitazione, sull’umidità e sulla ventilazione con un comfort a dir poco sbalorditivo tutto l’anno.

Una corrente di pensiero diversa – Parte terza

Altro problema poi, particolarmente evidente in Italia, è che molti, quando sentono parlare di certe tecnologie, incentivi, ecc., pensano in primis a come poterci guadagnare; quasi mai pensano alla reale utilità che ha una cosa, ai fenomeni conseguenti legati alla domanda-offerta, alla libertà che se ne può trarre. Un mio amico di infanzia, smanettone, ha acquistato non so quanti impianti negli ultimi 10 anni con lo scopo di ridurre le bollette e, ove possibile, guadagnarci su. L’ho osservato attentamente ed il risultato è stato che ha speso ben 40 volte di più di quanto avrebbe speso rimanendo con i normali contatori luce e gas. Questo perchè ha approcciato il problema in malo modo, ed ha continuato a rimbalzare da un impianto all’altro in base a quale sembrava risultare conveniente al momento. Per essere chiaro l’ultimo esempio è stato quando ha sostituito la caldaia di casa a metano con una a pellet, poi quando l’iva sul pellet è cresciuta ha rimesso la caldaia, ma non quella che aveva prima, un nuovo modello a condensazione, senza fiamma pilota, ecc.. Ha speso un patrimonio e non ha tratto alcun beneficio (questo perchè, come abbiamo spiegato nell’articolo “Tecnologie innovative al bivio: Una riflessione diversa” le regole sono cambiate durante il gioco e non al suo termine). Tanti altri esempi si potrebbero citare su chi ha investito nei campi fotovoltaici e non è riuscito a ritornare dell’investimento perchè dal 2006 a oggi gli aggiornamenti legislativi sono stati tali da mandare in confusione chiunque. L’approccio fisico è molto più costante come resa, nonché logico e ordinato. Si studia fisica generale 1 e 2 (e tutte le espansioni necessarie), si opta per il sistema fisico che si preferisce, lo si fa da soli liberi da vincoli e lo si porta a termine nel tempo senza particolari problemi. Ma questo non è alla portata di tutti ovviamente, però trattandosi di una strada che funziona, di una valida alternativa, è importante quantomeno far sapere che si può.

*Dispongo infatti di particolari elettrodomestici in tutta casa sin dai primi anni ’90, quando ero bambino e per nulla interessato a questo mondo (all’epoca fu mio padre ad aver visto lungo…). Sono costati in alcuni casi il doppio ed in altri persino il triplo rispetto ai comuni elettrodomestici dell’epoca. Durano da oltre 25 anni senza rotture, senza spese di manutenzione e tantomeno senza sostituzioni e consumano meno degli attuali elettrodomestici in classe A+++. Però quando negli anni ’90 si parlava di questi elettrodomestici così sofisticati e costosi, nessuno era interessato ad affrontare simili spese per una classe di prodotti che lasciava indifferenti (non si trattava di cabriolet dai colori vivaci). Il risultato è stato una spesa maggiore per quegli utenti che hanno preferito spendere meno in principio in quanto, cambiare in 25 anni anche solo 5 volte tali elettrodomestici, ha comportato un costo superiore senza considerare tutte le chiamate alle assistenze ed i pezzi di ricambio. Guardare avanti porta vantaggi incalcolabili; questo paese però, come molti altri, ha sempre teso negli ultimi decenni a guardare i vantaggi puramente “dell’immediato”. Cosa che, ormai è attestata, porta solamente indebitamento, sia che si tratti di un piccolo nucleo familiare, sia che si tratti delle scelte che condizionano un’intera nazione. Inoltre noi siamo suggestionati/portati a spendere molto per ciò che si può sfoggiare (il telefono, l’automobile, gli abiti…) e compensare poi comprando quanto di più c’è di scadente tra ciò che non si vede (l’elettrodomestico, l’impianto, la casa costruita senza rigore…). Un altro caso in cui cantare fuori dal coro (senza cadere nell’essere bastian contrari, altro estremo sicuramente nocivo) potrebbe portare importanti benefici agli attuali e futuri giovani.

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