Tecnologia domestica vintage – La Cinepresa e il Proiettore

Rubrica: Tecnologia domestica vintage

Titolo o argomento: Oggetti ormai rari tutt’altro che obsoleti e che conservano un fascino

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La cinepresa

Oggetti fantascientifici, quando ero piccolo vedevo i miei genitori riporli con cura dentro le loro custodie che emanavano odore di pellame, strettamente collegato con gli oggetti di pregio. Avevano una fattura solida, materiali resistenti, un peso che conferiva importanza, finiture eseguite con grande cura e quel fascino ineguagliabile tipico degli oggetti domestici tecnologici che avevano delle lenti, un oculare, bottoni, spaziali regolazioni a ghiera nonché elettroniche, e che offrivano la possibilità di farti vedere il mondo rielaborato dentro una camera oscura che concentrava tutta la tua attenzione nella sola scena inquadrata.

Un semplice ramo di un albero, inquadrato, allontanato, avvicinato, sfuocato, messo a fuoco, mentre era mosso dal vento, assumeva un fascino di rilievo, il fascino di un film.

Attraverso l’oculare e il teleobiettivo la scena sembrava più attraente rispetto all’osservazione ad occhio nudo; i dettagli aumentavano, i bordi erano più netti, la luce ambientale di disturbo veniva filtrata, potevi osservare cose che solitamente ti sfuggivano, il mondo non sembrava più lo stesso e si entrava in una dimensione misteriosa dove le cose comuni del quotidiano apparivano differenti e le ombre ed i contrasti che si creavano all’interno dell’obiettivo, accompagnati dal mirino chiaro/scuro di forma circolare in sovraimpressione (il telemetro a coincidenza d’immagine), contribuivano ad accentuare l’impronta distintiva dell’ambiente.

Lo zoom ottico manteneva una elevata definizione dell’immagine che nel digitale consumer verrà poi persa soverchiata da funzioni accessorie su cui l’utente poco esperto fisserà maggiormente la sua attenzione.
La presenza di filtri integrati nella macchina da presa (o cinepresa) permetteva registrazioni più orientate a luminosi spazi aperti o, al contrario, a spazi chiusi con dominante di luce artificiale. La scelta della pellicola aveva una notevole influenza sulla qualità dei video realizzati, era necessario scegliere la sensibilità adeguata e regolarsi di conseguenza. In dotazione vi era anche un parasole per l’ottica che poteva assumere all’occorrenza due distinte forme geometriche: avvolto in un disco, estruso a campana.

Il proiettore

Una volta terminato di girare il film (o, più propriamente, filmino) lo si portava a sviluppare da un fotografo che lo restituiva pronto per essere installato sul braccio ripiegabile del proiettore. Quaranta, cinquant’anni fa, era l’equivalente di un piccolo studio televisivo domestico. Permetteva la proiezione dei filmati sviluppati sfruttando la stessa tecnica, miniaturizzata, delle sale cinematografiche ed in più offriva la possibilità di effettuare un playback aggiungendo in un secondo momento una traccia audio registrabile e regolabile durante la proiezione del filmato.

Il montaggio video poteva essere effettuato con forbici e nastro montando la pellicola a regola d’arte, inoltre si potevano creare prestigiosi effetti di dissolvenza unendo due lembi di pellicola sovrapposti. Quando il proiettore si inceppava era necessario spegnerlo immediatamente onde evitare che il calore della lampada potesse rapidamente deteriorare la pellicola.

Curiosità

Il suono emesso dall’avvio del proiettore è diventato così famoso nel tempo che, ad oggi, all’interno di suite di montaggio video digitale professionale (vedi ad esempio Final Cut Studio, Final Cut Pro, Final Cut Pro X, ecc.) ne è presente la traccia audio campionata pronta per essere trascinata nella timeline ovunque si stia rielaborando un contenuto storico…

Specifiche tecniche Cinepresa

Una macchina da presa cinematografica o cinepresa, è un apparato che impressiona una sequenza di immagini fotografiche in rapida successione temporale su una pellicola cinematografica continua per via fotochimica.

Riprese a colori.
Obiettivo Makro-Neovaron 9-36mm f/1.8-32.
Filettatura M49 x 0,75.
Messa a fuoco da 1,5m – infinito.
Messa a fuoco dopo commutazione su macro da 0 – infinito.

Mirino reflex continuo a grande immagine, esente da sfarfallamento, con telemetro a coincidenza d’immagine e oculare regolabile.

Regolatore dell’esposizione: regolazione della luce SILMA completamente automatica, conforme all’angolo di campo e indipendente dalla tensione della batteria, attraverso l’obiettivo.
Visualizzazione del diaframma nel mirino.
Possibilità di impostazione manuale del diaframma.
Possibilità di variare la profondità di campo.
Possibilità di regolare la distanza focale manualmente o con motore (da teleobiettivo a grandangolo, con un intervallo specifico per il macro).
Telemetro a coincidenza di immagine (una volta regolata la distanza dell’oggetto, il fuoco viene mantenuto anche zoomando in avanti o indietro).

Azionamento: motorino elettrico per trasporto pellicola e motorino elettrico per zoom.

Alimentazione di corrente: centralizzata, disinseribile, per l’elettronica, il regolatore dell’esposizione e il power-zoom, attraverso 4 pile AA 1,5 Volt.
Controllo batterie nel mirino.

Velocità di ripresa: 18 e 40 fps, scatto singolo.
Comando remoto per lo scatto di fotogrammi singoli.
Fotogrammi rallentati (slowmotion) per riprese sportive filmando a 40 fps.

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Tecnologia domestica vintage – La Polaroid
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Tecnologia domestica vintage – La Polaroid

Rubrica: Tecnologia domestica vintage

Titolo o argomento: Oggetti ormai rari tutt’altro che obsoleti e che conservano un fascino

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Era la fine degli anni ’80, ero piccolo, vidi questa particolare macchina fotografica durante una delle mie esplorazioni di casa in cui andavo a stuzzicare ogni singolo oggetto che avesse in sé un qualche fascino da scoprire. Non sapevo esattamente di cosa si trattasse né tantomeno potevo immaginare che il nome tecnico fosse “macchina fotogragica istantanea analogica con pellicola autosviluppante”. Per me era semplicemente la Polaroid, ovvero quella simpatica macchina fotografica, di utilizzo estremamente semplice, che stava nella scatola con le strisce colorate.

Notando il mio interesse i miei me la regalarono per il mio compleanno passandola semplicemente dal loro armadio al mio (un trasferimento di proprietà senza burocrazia in stile inglese) fornendomi inoltre un kit composto da pellicola autosviluppante con sensibilità ISO per le foto all’aperto e un Flash usa e getta per il quale ogni scatto bruciava irrimediabilmente una lampadina delle dieci a disposizione (ne ho ancora una sana).

Si regolava l’esposizione, si inquadrava un povero soggetto malcapitato (nel mio caso animali di campagna quando ero a casa e vetrine di negozi quando andavo al negozio dei miei) e si scattava l’istantanea premendo il bottone rosso per poi ritirare immediatamente la foto quasi pronta in uscita dalla base del corpo macchina. Ancora pochi istanti e la foto compariva (sviluppandosi per l’appunto da sola) nella sua tipica cornice bianca quadrata che aveva in basso un lembo comprimibile contenente un liquido il quale, con una leggera pressione, poteva essere iniettato nel retro della foto per caricare i colori.

Fu l’apripista per vari tipi di macchine fotografiche a rullino in formato standard o panoramico, con corpo macchina rivestito in pelle o in plastica usa e getta per uso subacqueo, completamente meccaniche o con dispositivi elettronici in grado di suggerire la messa a fuoco e l’esposizione ottimale, fino alle Reflex che uso praticamente ogni giorno da anni e anni e passando anche per videocamere vhs, miniDV, digitali e actioncam ognuna delle quali con una piacevole storia di tribolazioni e affini utili a metter insieme i soldi per poterle acquistare dopo anni a sfogliar cataloghi cercando di imparare ogni minimo dettaglio utile per i miei lavori.

Sì, la Polaroid è stata utile come ogni oggetto legato alla creatività che sia stato in grado di stimolare una spinta a voler fare un passetto oltre. Ancora oggi è un oggetto affascinante che conservo nella sua confezione originale (aperta e consumata ma originale) acquistata dai miei genitori alla fine degli anni ’70.

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Tecnologia domestica vintage – Intro

Rubrica: Tecnologia domestica vintage

Titolo o argomento: Oggetti ormai rari tutt’altro che obsoleti e che conservano un fascino

Cosa ha conservato un valore e cosa no? Cosa è risultato essere realmente utile e cosa si è spento inesorabilmente nel più profondo dimenticatoio? Cosa ci ha fatto evolvere e cosa ci ha fatto riscoprire stupidi? Soldi spesi bene o soldi che potevano esser spesi meglio? E oggi? Oggi cosa corrisponderà ad un futuro prodotto che avrà contraddistinto un’era, un futuro oggetto caratteristico, vintage, e cosa avrà solamente alimentato uno sfizio, una voglia momentanea, un vuoto che andava colmato in ben altra maniera? A posteriori è più facile comprendere e possiamo far leva sull’esperienza passata per migliorare ogni istante che costituisce il nostro presente.

Andiamo a rispolverare, lasciando ampio spazio a foto caratteristiche scattate da noi per arredare il racconto, oggetti chiave di un trentennio in cui sempre più volevamo sentirci estesi grazie all’uso di dispositivi che aumentavano la nostra sensazione di potere. Un potere inteso come capacità di fare, di raggiungere, di essere, di disporre, di imitare anche, se vogliamo, personaggi del cinema che ci affascinavano con anteprime (di una branca minore) della tecnologia che sarebbe diventata di consumo. Tastiere, display, riproduttori, dispositivi da polso, dispositivi di comunicazione, dispositivi di intrattenimento, dispositivi per la produttività, dispositivi di memorizzazione ed ogni diavoleria a transistor che attribuiva, all’uomo e alla donna che ne facevano uso, un senso di modernità e di adeguatezza ai tempi.

Alcuni oggetti hanno realmente rappresentato un’evoluzione, altri hanno rappresentato un terribile spreco di denaro, altri ancora sono diventati ben presto oggetti fidelizzanti capaci di instaurare insicurezza in chi non disponeva costantemente dell’ultimo modello, dell’ultimo servizio; altri ancora sono diventati oggetti di culto, veri oggetti d’epoca, oggetti che, dopo decine di anni, siamo andati a ricercare tra le polveri del passato immersi in fantastici ricordi.

Una selezione naturale ha poi estrapolato e messo in rilievo insicurezza da taluni soggetti consumatori, goliardia da altri, capacità tecniche notevoli da altri ancora. Il proseguimento di una savana che dalla trasposizione del sangue è giunta ad una matrice di ordine economico dove il soggetto, plusdotato di modernità, migliorava nettamente la sua condizione o cadeva preda del consumismo più insensato alimentando un inutile debito.

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Ciliegina, uno scolapiatti ingegneristico. Dal tronco al book. Fase 11: Book

Rubrica: Living Design

Titolo o argomento: Uno scolapiatti ricavato dal pieno

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Fase 11: Book (Progettazione e costruzione del)

Stampare 16 pagine pare sia più difficile che stamparne qualche milione… e questo sostanzialmente è vero soprattutto se si realizza sempre e solo lo stesso tipo di prodotto con i metodi classici ed ormai si è vincolati verso un unico tipo di clientela. Quando poi quel tipo di clientela (ahimé) comincia a scarseggiare ecco che, se non si è allargata l’offerta, possono iniziare delle “complicazioni”.

Stampa e affini

Stampare un piccolo lotto di brochures o, addirittura, stampare un solo pezzo, diventa invece possibile quando si fa un uso “proprio” della stampa digitale. Occorre quindi un software di publishing per l’impaginazione (la Apple ad esempio fornisce gratuitamente iWork che non è affatto male), carta più consistente di quella comune (ad esempio una 250-300 grammi su metro quadro), rullo e tamburo in ordine se si stampa al laser, rispetto dei tempi di asciugatura prima di fare il fronte/retro se si stampa a getto d’inchiostro, inquadrare i significati di tecnicismi quali “misura al vivo” e “abbondanza”, tanta pazienza per squadrare le pagine alla stessa misura, ancora un po’ di pazienza per effettuare un procedimento denominato “cordonatura” che renda più facilmente piegabili e quindi sfogliabili le pagine, stesso dicasi per eventuali plastificazioni atte a conferire alla carta un effetto lucido o opaco o vellutato, qualche accorgimento in dirittura d’arrivo per l’esecuzione di una doppia “foratura” con interasse standard internazionale da 80 millimetri e fori da 5 millimetri e, in fase finale, per “l’assemblaggio”, ad esempio mediante viti, del piccolo agognato libretto.

Insospettabilmente fattibile

Detto così, se vi è rimasto il fiato dopo il mio obbrobrioso precedente paragrafo senza punti, può sembrare impossibile, molto laborioso e costoso, in realtà è possibile, molto laborioso ed economico. La maggior parte di queste operazioni si possono effettuare in casa disponendo di un’ottima stampante (il cui prezzo, nei modelli top di gamma, può essere pari a circa il doppio del preventivo di stampa di 3 brochures ma la cui resa può arrivare fino a qualche centinaio di brochures solo con le cartucce in dotazione), una taglierina, una piccola colonna per trapano, dei piani di riscontro, delle guide, delle righe d’alluminio e dei cunei.

Io quasi quasi l’avvito…

“Avvitare” le pagine di una brochure era qualcosa che volevo fare da molto tempo… sembra improprio, sembra una follia, invece, almeno per quella che è la mia stravaganza, l’ho trovato affascinante, oltre che semplificativo e abbordabile. Certo è che con questo metodo i costi calano tantissimo fintantoché ci si tiene nei limiti di pochi pezzi (ideale quindi per i concepts), quando i numeri di stampe salgono vertiginosamente, invece, non c’è dubbio, è sicuramente più logico ritornare ai sistemi classici da tipografia.

Inedite conclusioni…

Diciamo pure che quella nostra è stata una curiosa alternativa per rendere possibile e affascinante qualcosa che quando era ancora allo stato di idea, risultava assai complicato. A volte però ci facciamo più problemi di quanti ce ne siano in realtà. E quando ci mettiamo sotto, e osserviamo la soluzione che alla fine abbiamo trovato, ci accorgiamo che si trattava solo di un pensiero al quale non eravamo abituati. Uno splendido pensiero.

A cura di (in ordine alfabetico):
Per. Ind. Berardi Raffaele: Tecnologia Meccanica, Styling (CAD 3D, rendering), Studio di Fattibilità, Materiali, Manufacturing, BoM Targets
Per. Ind. Zoppi Alessio: Styling (CAD 3D, rendering), Problem Solving e Ottimizzazione, Manufacturing, BoM Targets, Benchmarking

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Ciliegina, uno scolapiatti ingegneristico. Dal tronco al book. Fase 3: Piallatura e Rifilatura
Ciliegina, uno scolapiatti ingegneristico. Dal tronco al book. Fase 4: Fresatura
Ciliegina, uno scolapiatti ingegneristico. Dal tronco al book. Fase 5: Taglio
Ciliegina, uno scolapiatti ingegneristico. Dal tronco al book. Fase 6: Finitura
Ciliegina, uno scolapiatti ingegneristico. Dal tronco al book. Fase 7: Accessori funzionali – Articolo in modalità PRO
Ciliegina, uno scolapiatti ingegneristico. Dal tronco al book. Fase 8: Sistema di giunzione – Articolo in modalità PRO
Ciliegina, uno scolapiatti ingegneristico. Dal tronco al book. Fase 9: Sistema di scolo – Articolo in modalità PRO
Ciliegina, uno scolapiatti ingegneristico. Dal tronco al book. Fase 10: Packaging
Ciliegina, uno scolapiatti ingegneristico. Dal tronco al book. Fase 11: Book

Book Scolapiatti Ciliegina Book Scolapiatti Ciliegina - Assemblaggio mediante viti Book Scolapiatti Ciliegina Viti assemblaggio Book Scolapiatti Ciliegina Viti assemblaggio Book Scolapiatti Ciliegina Confezione scolapiatti Ciliegina contenente il prototipo ed il book fotografico Confezione scolapiatti Ciliegina Assieme prototipo scolapiatti, book e packaging Ciliegina

Stampa 3D: Stereolitografia SLA – Parte 4: Esempi ed applicazioni

Rubrica: Prototipazione rapida

Titolo o argomento: Stampa 3D di tipo Liquid-Based

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Applicazioni

La stampa 3d stereolitografica trova largo impiego nella realizzazione di anteprime di prodotti; nella realizzazione di modelli destinati a test di design, nonché analisi e verifica della funzionalità; per prototipi di strumenti e utensili; per la produzione di piccoli volumi di strumenti direttamente utilizzabili (Rapid Tooling) come ad esempio dime, maschere, fissaggi, sostegni, centraggi, chiavi speciali; modelli per fusione a cera persa, colata in sabbia e stampaggio.

Derby, il cane con le protesi stampate mediante stereolitografia

Grazie alla stampa 3d stereolitografica è possibile costruire persino protesi direttamente utilizzabili. Nei corridoi della tecnologia ha avuto un notevole rilievo la tenera storia che ha visto Derby, uno splendido Husky, dapprima impossibilitato nell’uso delle zampe anteriori e poi fortunatamente riabilitato grazie all’impiego di protesi studiate su misura per i suoi arti.

L’implementazione è cominciata con una accurata scansione 3d degli arti anteriori di Derby, questo ha permesso di studiare l’anatomia esatta delle sue zampe e disegnare al CAD una varietà di soluzioni che è stato possibile testare rapidamente, e con costi contenuti, grazie alla stampa 3d di ogni modello mediante stereolitografia.

Una volta ottenuto il modello che permetteva un appoggio corretto e indolore degli arti, si è provveduto ad ottimizzarne le restanti geometrie per garantire una corretta presa a terra, l’assenza di interferenze tra le due protesi durante i movimenti tipici del cane in fase di “passeggiatina, zompetti e corsa”, nonché la sicurezza di movimenti morbidi, intuitivi che non provocassero particolari difficoltà passando da superfici solide a terreni argillosi. Prima dell’incontro tra Derby e Tara Anderson, esperta di stampa 3d presso la 3D Systems, Derby poteva muoversi solo su superfici morbide e per tempi ridotti… ora corre fino a 4 chilometri al giorno : )

Prospettive Bioingegneristiche

Questo tipo di tecnologia si sta espandendo notevolmente anche nel settore delle protesi ortopediche per l’uomo e nel settore della tecnologia odontotecnica ove ad esempio si inizano a stampare in 3d maschere di foratura per l’implantologia di denti finti (quelli con innesto mediante vite in titanio, per intenderci) nelle relative ossa, mascellare e mandibolare. Interessante anche la prototipazione di organi e tessuti verso cui sta volgendo la ricerca scientifica e di cui parleremo meglio più avanti.

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Ciliegina, uno scolapiatti ingegneristico. Dal tronco al book. Fase 10: Packaging

Rubrica: Living Design

Titolo o argomento: Uno scolapiatti ricavato dal pieno

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Fase 10: Packaging (Progettazione e costruzione del)

Se le lavorazioni meccaniche comportano particolari accorgimenti, concentrazione e un minimo di confidenza con l’uso delle macchine utensili (scelta della lavorazione più idonea per ottenere una precisa forma, selezione del tipo di utensile ed il suo materiale, scelta del numero di giri, scelta dell’avanzamento e manualità nell’utilizzo e nelle norme comportamentali e di sicurezza), la realizzazione di una confezione (packaging) e di un libricino (una sorta di brochure con book fotografico) che accompagnino il prototipo è stata, inizialmente, a dir poco complicata.

Pezzo unico? Bello, però non è facile…

Non è stato possibile trovare una ditta attrezzata anche per la realizzazione di un solo pezzo, ovvero di una sola scatola e di un solo libricino. Eppure siamo nell’era della prototipazione rapida (persino domestica), del Rapid Tooling, della condivisione delle tecniche più variegate che permettono di concretizzare anche solo un “concept” per poterne apprezzare con largo anticipo, quindi prima della produzione, ogni aspetto, ogni sensazione suscitata. Tanto per rendere l’idea delle inaspettate difficoltà, alcuni preventivi sono risultati addirittura di importo pari alla metà dei costi di acquisto del sistema di stampa necessario per ottenere il nostro packaging o il nostro book.

Do It Yourself

Come al solito la soluzione per noi migliore è stata: far da sé. Mediante software di grafica vettoriale è stata disegnata la scatola comprensiva di tutte le righe di piegatura, nonché le relative gole atte ad ospitare le alette necessarie al suo fissaggio una volta montata. Una sorta di cartamodello, quindi, le cui quote valutative sono state colte semplicemente da scatole già esistenti.

Il cartone

Ci siamo poi procurati un normalissimo cartone bianco con superficie “stampabile” e ci siamo recati presso un’azienda che si occupa di effettuare stampe su vinile per le insegne dei negozi. Il foglio di cartone è stato semplicemente posizionato sul piano di lavoro di una stampante concepita al contrario di quelle casalinghe; il foglio rimane fermo e la “testina” di stampa si muove su di esso.

La stampa

L’operazione è durata una mezz’oretta e tutte le complicazioni propinateci da aziende che ci prospettavano il costo di acquisto di una piccola utilitaria di seconda mano per costruire sole 3 scatole, sono svanite in un attimo (per la gioia dell’ingegno e soprattutto per non abbandonare un’idea così affascinante alla prima difficoltà).

Un ripieno espanso

La scatola è stata arricchita con un corpo interno in polistirene espanso che abbiamo portato a misura e scavato al suo interno con le nostre macchine utensili (lavorazioni di taglio e fresatura), la parte superficiale del corpo è stata rifinita con polietilene espanso in grado di conferire un aspetto più curato e meno grossolano. Il compito che abbiamo attribuito al polistirene è quello di dare una “struttura” alla scatola (struttura che si può ottenere più robusta anche solo scegliendo cartoni più spessi ma dovendo poi calibrare un mix di: tipologia di cartone, dimensionamento delle piegature, forma adeguata dell’involucro e soluzione di coperchio scelta, ad esempio separato o integrato). E’ inoltre evidente che il prototipo dello scolapiatti, inserito nel corpo in polistirene, risulta abbondantemente protetto dagli urti.

Sviluppi futuri

Per le prossime versioni abbiamo già trovato, visitando un’azienda in Inghilterra, materiali più eleganti, più gradevoli alla vista e piacevoli al tatto, ideali per la realizzazione dell’interno di una scatola che non abbia nulla da temere se confrontata con quella dei marchi più blasonati. Naturalmente i costi salgono proporzionalmente ma la resa, che vi mostreremo prossimamente, è spettacolare.

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Packaging - Cartamodello Packaging - Ciliegina Packaging - Ciliegina Packaging - Riempimento interno in polistirene espanso Packaging - Taglio polistirene espanso Packaging Scolapiatti Ciliegina - Imbottitura e rivestimento superficiale Packaging Scolapiatti Ciliegina - Imbottitura e rivestimento superficiale Packaging Scolapiatti Ciliegina - Imbottitura e rivestimento superficiale

Ciliegina, uno scolapiatti ingegneristico. Dal tronco al book. Fase 6: Finitura

Rubrica: Living Design

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Fase 6: Finitura delle superfici

La scelta, per la versione prototipale dello scolapiatti, è stata di lasciare il legno libero, privo di impregnanti, cere, finiture sintetiche di qualsivoglia tipo, al fine di poterne apprezzare totalmente l’essenza, il colore naturale, la “fragranza” e le venature. Qualunque trattamento potrà in ogni caso essere effettuato in un secondo momento effettuando numerose prove su campioni trattati a pennello, a spruzzo, a spugna, nel forno o, ancora, con abrasivi, spazzole, agenti chimici per l’invecchiamento artificiale, fiamme. Come al solito il limite è rappresentato dalla pura fantasia. Ad ogni modo la piallatura e la rifilatura hanno di per sé conferito una finitura superficiale ottimale, inoltre la stabilità di questa essenza e la bassa porosità ne permettono un uso “al nudo” purché all’interno dell’abitazione.

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Finitura superficie legno

Stampa 3D: Stereolitografia SLA – Parte 3: Pro e contro, R&D

Rubrica: Prototipazione rapida

Titolo o argomento: Stampa 3D di tipo Liquid-Based

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Pro e contro

A favore della prototipazione rapida mediante Stereolitografia SLA giocano fattori come la possibilità di lavorare in continuo, anche tutto il giorno, persino senza operatore. E’ possibile costruire prototipi i cui volumi vanno da un cubo di lato pari a 25 centimetri fino a parallelepipedi di circa 70 x 60 x 50 centimetri. Il livello di accuratezza della stampa SLA è molto buono e ne consente l’uso praticamente in tutti i campi tecnologici. La finitura delle superfici è tra le migliori in assoluto dell’intera gamma di tecnologie per la stampa 3d. Infine c’è un ampio range di materiali impiegabili in questa specifica tecnica di stampa che consente di generare modelli decisamente realistici e addirittura direttamente utilizzabili come ad esempio nel campo delle protesi.

D’altra parte la stampa stereolitografica richiede strutture di supporto. I modelli 3d che hanno sporgenze e incavi (sottosquadri) devono avere strutture di sostegno che vengono stampate assieme ai modelli stessi. Tali strutture devono poi essere rimosse e questo richiede un lavoro extra, con la conseguente perdita di tempo, nonché il rischio di danneggiamento del modello 3d appena realizzato. Nota finale, per garantire la corretta robustezza del pezzo che si va ad ottenere, è importante sottoporlo ad un trattamento finale di indurimento onde evitare possibili rotture.

Ricerca e sviluppo

La ricerca è orientata ad ottenere resine con caratteristiche meccaniche via via superiori, processi di stampa più rapidi, software che offrono più funzioni, una tecnologia mirata ad ottenere stampi a basso costo per materiali termoplastici quali polipropilene, nylon, ABS, polietilene e policarbonato, nonché per la produzione di maschere, dime, supporti, utensili, guide, centraggi e tutto ciò che occorre come rapido ed efficiente ausilio alla produzione (ovvero l’ambito definito Rapid Tooling).

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Image’s copyright: stratasys.com

Ciliegina, uno scolapiatti ingegneristico. Dal tronco al book. Fase 5: Taglio

Rubrica: Living Design

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Fase 5: Taglio a misura

Ottenute le scanalature desiderate si procede con il taglio finale a misura del “lingotto”. Ritardare questa operazione permette un migliore bloccaggio del massello sotto le guide di fresatura in virtù di una più ampia superficie d’appoggio. Trattasi di una condizione ideale per il posizionamento agevole di morse, dime, sistemi di fissaggio e sistemi di guida. Inoltre effettuare il taglio a misura nella fase finale permette di eseguire qualche scanalatura in più che renda possibile scegliere tra le migliori ottenute, nonché di perfezionare le quote con un errore ammesso di pochi decimi di millimetro e controllare lo squadro qualora la fresatura delle scanalature non fosse risultata debitamente parallela ai margini dello scolapiatti.

Il taglio risulta più agevole ed intuitivo rispetto alla fresatura, la lama dispone di 36 denti, pronti a suddividersi il lavoro di asportazione dei trucioli, contro i soli 2 taglienti presenti sulla fresa. L’operazione va eseguita con decisione perché, anche in questo caso, un avanzamento troppo lento può provocare inestetiche bruciature. Un’azione decisa sulla macchina permette di avanzare in maniera pulita e lineare senza particolari problemi. Nel taglio di un legno duro come il Ciliegio americano, la lama non risulta mai eccessivamente calda e si procede in poche battute fino all’ultimazione del pezzo.

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Ciliegina, uno scolapiatti ingegneristico. Dal tronco al book. Fase 8: Sistema di giunzione – Articolo in modalità PRO
Ciliegina, uno scolapiatti ingegneristico. Dal tronco al book. Fase 9: Sistema di scolo – Articolo in modalità PRO
Ciliegina, uno scolapiatti ingegneristico. Dal tronco al book. Fase 10: Packaging
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