Più risparmi più diventi povero

Rubrica: La tetralogia della povertà. Svalutazione – Parte 8

Titolo o argomento: Come si diventa poveri oggi e soprattutto… perché

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Più risparmi più diventi povero

E’ un commercialista che arranca “ora” che la strada è in salita. Si arrangia. E’ un professionista come ce ne sono in tanti settori in un paese articolato e complesso come l’Italia. E’ convinto di capire a fondo come vanno le cose, cosa sta succedendo. Ma le cose gli vanno male. Il mondo attorno a lui sprofonda collassando su sé stesso eppure non si rende realmente conto del perché. Come ognuno di noi fatica a lasciare il molo sicuro delle proprie convinzioni e teme di andare a vedere cosa ci sia realmente oltre la linea dell’orizzonte, oltre quello che gli occhi arrivano a vedere dal molo. Crede a ciò che gli fa comodo credere, crede a ciò che è facile credere. Paradossalmente, e all’apparenza, può rivelarsi più semplice vivere questa situazione di perenne collasso piuttosto che quella in cui si deve compiere lo sforzo immane di aprirsi a concetti che ignoravamo, che ci sbalzano fuori dalla nostra zona di conforto.

Primo distacco

Mi chiama sostenendo di voler acquistare un prodotto presso lo store di famiglia. Scopro ben presto che vuole solo farsi consigliare il modello più affidabile e funzionale per le sue esigenze e farsi dare quante più spiegazioni possibili da chi conosce i prodotti a fondo. Prendo l’impegno, vado a trovarlo, sostengo dei costi, gli mostro le schede tecniche, gli offro la mia esperienza, importanti consigli, valutiamo dei modelli assieme e scegliamo quello idoneo. Lui si mostra gentile, mi regala addirittura una bottiglia di vino e poi non lo sento più.

Vengo a sapere che ha acquistato il prodotto su un e-commerce massivo risparmiando qualcosa come 60,00-80,00 Euro senza tener minimamente conto del fatto che il servizio di prevendita che gli ho offerto ha un valore ben più alto di 60,00-80,00 Euro. Avrebbe avuto anche un servizio di installazione più professionale ed un post vendita che non riesce nemmeno ad immaginare. Non tiene conto affatto del capitale umano, dell’esperienza, di quel che mi aveva sottratto in maniera ingannevole (tempo, informazioni, esperienza, servizi, denaro…) sapendo già dal principio che non avrebbe acquistato da me.

Non lo nascondo, non approvai quel comportamento. Così decisi di provvedere in altra maniera alla contabilità aziendale risparmiando ben di più di 60,00-80,00 Euro l’anno. Lui risparmiò 60,00-80,00 Euro una tantum, allo stesso tempo ne perse molti di più all’anno in maniera definitiva.
É per questo che sostengo che non sia un granché come commercialista.

Secondo distacco

Lo stesso commercialista riemerge inaspettatamente come tema di una chiacchierata al mare che intrattengo con il titolare di una agenzia assicurativa. Vengo a conoscenza del fatto che decise di non rinnovare le sue polizze e di spostarle presso una compagnia ritenuta più a “buon mercato”. Probabilmente vede i suoi introiti calare e, non riuscendo a comprendere che si trova in un circolo vizioso, finisce con l’alimentarlo sempre di più.
Si isola sempre più, taglia i costi ma quelli errati, perde il contatto con il pubblico, non è più a sua volta cliente di altri e la gente si dimentica di lui, fa tutto online alla ricerca di un risparmio disperato, mantiene un suv dai costi spropositati (per una questione di immagine) ma il suo studio è ad una manciata di chilometri da casa ed anche un ottimo scooter, o dei mezzi pubblici, si rivelerebbero comunque più proficui per lui rispetto ai risparmi boomerang che persegue nel tentativo di sanare la sua situazione.

L’assicuratore mi spiega altre cose che tendiamo a ignorare. La cosidetta compagnia a “buon mercato” non solo offre un servizio di minor valore (ad esempio non invia periti in caso di truffa e preferisce pagare quando i presunti danni comportano risarcimenti moderati retrocedendo la classe anche ingiustamente) ma è nota tra i professionisti del settore per l’inserimento del diritto di rivalsa (ovvero potrebbe non pagare anche se, ad esempio, eventuale alcol nel sangue rientra nei parametri di legge) con tutte le complicazioni che ne possono derivare. Anche il titolare della compagnia assicurativa non nega di esser rimasto male, dopo anni di rapporti, nel vedere il suo cliente “migrare” a soluzioni ritenute, erroneamente, a più buon mercato.

Le polizze a minor prezzo non coprono l’assicurato allo stesso modo di prodotti validi e, per contratto, prevedono molti escamotage per non liquidarlo (o non tutelarlo), sia in caso di incidente con colpa che con presunta colpa, se l’assicurato ha violato anche solo un minimo dettaglio della famiglia degli “asterischi” che nel contratto sono stati inseriti per sganciarsi dalle responsabilità alla prima occasione. Così è praticamente per tutti le tipologie di prodotti e servizi presenti sul mercato.

La vicenda avrà una conclusione ovvia ma, a quanto pare, invisibile al commercialista. Egli ritiene improbabile che una realtà imprenditoriale che si affida da anni al suo studio possa spostare di colpo tutta la propria contabilità presso altri professionisti. L’agenzia assicurativa, infatti, deciderà di far seguire la propria contabilità altrove e il soggetto in questione perderà ulteriori migliaia d’Euro l’anno a fronte di un risparmio di poche centinaia d’Euro.

Terzo distacco

Il commercialista mi richiama, immaginando che la bottiglia di vino abbia lasciato in qualche modo un buon ricordo, trovandosi ad aver bisogno di un tecnico per il servizio di assistenza. Viene posto in coda alla lista dovendo io dare la priorità ai clienti che hanno creduto in me. La cosa non è di suo gradimento e mostra ancora di non comprendere come mai le cose per lui stiano volgendo in un turbinio di malfunzionamenti. Eppure lui sostiene di conoscere i mercati, l’economia del paese, ciò di cui abbiamo bisogno… e non si accorge che l’avidità gli sta portando via, piano piano, senza che nemmeno avverta lo spostamento d’aria, tutto il benessere di cui godeva in passato.

Mi chiedo: “Come può egli, soprattutto in ragione della sua veste professionale, non comprendere che se acquisterà presso un’impresa “professionale”, “fisica”, “storica”, appena avrà bisogno in qualità di cliente, dei professionisti si impegneranno per lui, mentre, al contrario, nessuna impresa perderà tempo nel seguire colui che porterà solo le cosidette “rogne” per poi, nel momento del dare, alimentare realtà a concorrenza sleale?”.

Conclusioni – Parte prima

Il succo della questione è che a fronte di acquisti sottovalutati, giustificati da un risparmio che si è mostrato poi “fittizio”, il soggetto di questa storia ha ottenuto da un lato un risparmio effettivo esiguo e, dall’altro, ha perso quantità considerevoli di denaro che hanno avuto un peso ben maggiore all’interno del suo bilancio. Inoltre è entrato a far parte di un circolo vizioso di cui non è cosciente: più si attacca a risparmi fittizi e più soldi sta perdendo perché si chiude attorno a sé stesso escludendo altri professionisti dal suo indotto i quali, a loro volta, possono fare a meno di lui.

Tra quelli che esclude ce ne sono alcuni che fanno la sua medesima scelta entrando anche loro nel medesimo circolo vizioso che sottrae loro ricchezza e la accentra in un unico leader (quasi globale) impoverendoli.

Altri invece scelgono di rimanere al precedente sistema, quello storico, tradizionale, quello su cui si è fondata l’Italia ed è cresciuta diventando nel dopoguerra una potenza mondiale (prima che venisse depredata della sua linfa che tanto faceva gola a chi non ci voleva ai vertici). Sono rimasti al metodo virtuoso facendo circolare il loro denaro tra uomini e donne di buona volontà, artigiani, commercianti, tecnici, professionisti, imprenditori e quei consumatori che, proprio perché vengono da lavori d’ufficio (solo in apparenza estranei a tale indotto), hanno in realtà a cuore valori come il capitale umano, il rispetto per le persone, per i lavoratori dipendenti, per i mestieri, e decidono di rivolgersi a imprese locali generando la ricchezza distribuita, quella dove l’Uomo conta, e non ricchezza accentrata dove l’Uomo è considerato alla stregua di un vecchio arnese senz’anima da sfruttare finché funziona.

Dove è stato il risparmio? Se anche tutti comprendessero queste righe, quanto ci vorrebbe prima di rimettere tutto in moto, far riaprire negozi, imprese, ricoltivare mestieri, rivitalizzare l’artigianato e le immense capacità italiane?

I miei migliori auguri per ottimi auspici a tutti conscio del fatto che, probabilmente, solo chi si rende conto di questi circoli viziosi si salverà dai turbinii economici che, in un modo o nell’altro, faranno volare via i tetti delle nostre sicurezze. Non c’è scampo, a meno che non li facciamo volare via prima noi comprendendo quanto sia semplice la spiegazione di ciò che ci risulta difficile vedere, o che non vogliamo vedere… perché fa male.

Chi saranno gli ultimi a capire?

Generalmente si tratta di coloro investiti meno direttamente dal problema o per i quali le ripercussioni si manifestano in un secondo momento come in un colpo di frusta. In questo specifico caso si tratta di coloro i quali attualmente percepiscono uno stipendio da realtà statali o che percepiscono almeno parte dei loro introiti tramite lo stato. Non offrendo prestazioni con scambio diretto di denaro con privati, non hanno attualmente gli strumenti per comprendere le profondità dell’Economia di Mercato. Tuttavia ne fanno parte, ragione per cui, pur in principio inconsapevoli, ne saranno coinvolti in pieno come tutti gli altri, probabilmente anche peggio non potendo loro operare delle articolate scelte indipendenti (ma qui si ritorna in una matematica molto complicata da esprimere in parole semplici).

La Matematica

La matematica e le conoscenze teoriche necessarie a comprendere a fondo questi meccanismi, così come i meccanismi legati all’acquisto di prodotti da mercati deregolamentati (ed a concorrenza sleale), o di servizi considerati “nuovi” di variegate tipologie, sono in realtà ben più complessi e renderebbero la lettura faticosa per non dire incomprensibile. L’esempio del protagonista, raccontato in questo capitolo, ha lo scopo di semplificare al massimo la comprensione della direzione che sta prendendo il paese o, meglio, l’Economia di Mercato.

Quando certi fenomeni saranno ben compresi da tutti sarà, naturalmente, troppo tardi per le masse. Probabilmente è così che cinicamente, o naturalmente, funziona: gli ultimi a comprendere o forse, più semplicemente, quelli che ignorano, pagano per tutti. La conoscenza degli strumenti permette di utilizzarli, il credo in favole che narranno di paesi dei balocchi sappiamo invece dove porta.

Se queste espressioni vi sembrano crude vi chiedo: “Avete mai visto un documentario dove un’orca preda le otarie?”. É la Natura che funziona così eppure le immagini ci appaiono crudeli e quelle povere otarie buone e indifese. Anche se lo sono, e le immagini ci turbano, la Natura lo prevede sia che noi lo comprendiamo o meno.

Dai numeri alle parole – Esempio 1

Mario vuole avere tutto.
Mario vuole avere tutto così come moltissime persone.
Mario ha un’attività o lavora per essa o offre servizi che vi gravitano attorno.
Mario vuole avere tutto anche se il potere d’acquisto è calato.
Mario persegue la strada più facile per continuare ad avere tutto.
Mario si illude di esser l’unico ad aver trovato la strada facile per avere tutto.
I clienti di Mario fanno lo stesso.
Il denaro non circola più intorno a Mario.
Il denaro non circola più attorno ai clienti di Mario.
Chi offre servizi pubblici non avverte in tempo che la chiusura delle attività li danneggerà.

Dai numeri alle parole – Esempio 2

Mario pensa di iniziare a comprendere.
Mario pensa che tanto, se lo fa solo lui, cosa vuoi che cambi?
I clienti di Mario pensano lo stesso.
Il denaro continua a non circolare attorno a Mario.
Il denaro continua a non circolare attorno ai clienti di Mario.
Chi offre servizi pubblici non avverte in tempo che per il pagamento degli stipendi aumenta il debito pubblico.

Dai numeri alle parole – Esempio 3

Mario e Giuseppina vogliono avere tutto.
Mario e Giuseppina vogliono avere tutto subito.
Mario e Giuseppina non hanno pazienza di costruire.
Mario e Giuseppina sono pieni di impegni.
Mario e Giuseppina diventano egoisti senza accorgersene.
Mario e Giuseppina dimenticano il mondo attorno.
Mario e Giuseppina si sentono giustificati.
Mario e Giuseppina acquistano allo sbando.
Mario e Giuseppina acquistano allo sbando e buttano.
Mario e Giuseppina trasformano il loro denaro in rifiuti che riempiono le discariche.
Mario e Giuseppina viaggiano su un treno in corsa folle privo di freni.
Mario e Giuseppina non si rendono conto che, anche se stanno seduti, il treno è in corsa.
Mario e Giuseppina fanno i confronti con le persone intorno.
Le persone intorno si comportano come Mario e Giuseppina.
Mario e Giuseppina si convincono di non perturbare l’ambiente esterno con le loro scelte.
Mario e Giuseppina perseverano.
Mario e Giuseppina vivono uno stato di malessere ma non ne comprendono l’origine.

Conclusioni – Parte seconda

Ma allora, se più risparmio e più divento povero, dovrei trovare un modo per spendere tanto? No. Assolutamente no. Semplicemente non ci serve tutto, semplicemente non dovremmo pensare di avere ogni cosa. Dovremmo pensare a cosa per noi è effettivamente importante in profondità, fare una o più scelte e perseguirle con cura lasciando scorrer via il confronto con gli altri. Dovremmo in sostanza evitare di riempire discariche di temi ignorati.

Continua…

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Disse il Signor Michelin: “Non si dà valore a ciò che si ottiene senza pagare”
La distruzione del valore
Comprendere il valore
I pensieri autopulenti di chi distrugge il valore – Il pensiero zero (sul conto)
I pensieri autopulenti di chi distrugge il valore – Il pensiero uno (sul prodotto)
I pensieri autopulenti di chi distrugge il valore – Il pensiero due  (sul professionista)
Il piccolo imprenditore indipendente è espressione di libertà anche per il consumatore
Il professionista della prima maniera
Il tuo futuro è già noto?
Più risparmi più diventi povero
Cap 9 – In revisione
Cap 10 – In revisione
Cap 11 – In revisione

Seconda raccolta – Prossimamente (su versione cartacea)

Terza raccolta – Prossimamente (su versione cartacea)

Quarta raccolta – Prossimamente (su versione cartacea)

Prima estensione – Prossimamente (su versione cartacea)

Seconda estensione – Prossimamente (su versione cartacea)

Cit. Sen. John Sherman sulla promulgazione della prima legge antitrust statunitense, 1890.

Il futuro è ibrido… a idrogeno – Parte 2: I colori dell’idrogeno

Rubrica: Automotive alternatvo

Titolo o argomento: Motori a idrogeno

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La tecnologia corre e la gente non è realmente a conoscenza di quanto. Così anche se per molti il tema dell’idrogeno appare come una novità, un futuro probabile, possibile, in realtà per chi fa ricerca è un tema talmente vecchio che sono mutate persino le forme gergali con cui se ne parla nell’ambiente.

Oggi, nel tentativo di produrre idrogeno solo da fonti pulite, si è abbandonata una intuitiva classificazione basata su colori che potrebbe però risultare assai interessante per il lettore che ama conoscere più a fondo questo nobile tema.

L’idrogeno, il primo elemento della tavola periodica, il più semplice elemento della tavola periodica è l’elemento più diffuso nella nostra galassia, nel sistema solare.

Idrogeno bianco

Si tratta dell’idrogeno presente in natura, negli strati geologici, sotto forma gassosa (H2). Attualmente vengono operati rilievi per misurarne la fuoriuscita naturale in circa un centinaio di siti nel mondo. La comunità scientifica rileva sulla superficie terrestre leggere depressioni tendenzialmente di forma circolare (chiamate cerchi delle streghe) che hanno la proprietà di essere irregolari nell’erogazione dell’idrogeno ma allo stesso tempo non trascurabili. In prossimità di questi fenomeni la vegetazione spesso non sopravvive e si dirada.

Idrogeno blu

Si può ottenere idrogeno da un processo denominato Steam Reforming. Esso consiste nella produzione di un gas di sintesi (syngas) partendo da idrocarburi (in questo specifico caso “metano”) e vapore acqueo. Nel caso in cui le emissioni di CO2 vengano catturate e stoccate nel sottosuolo, grazie ad una tecnica denominata CCS (Carbon Capture and Storage), l’idrogeno ottenuto viene denominato “blu”. Nonostante si tratti di un metodo di produzione considerato neutro una parte dell’anidride carbonica prodotta, circa il 10-20%, non può essere stoccata.

In realtà la reazione che si ottiene usando come reagenti metano e vapore produce anche monossido di carbonio ma, portando il monossido di carbonio a reagire con ulteriore acqua, adottando un opportuno catalizzatore di ossido di ferro, si ottiene ulteriore idrogeno e anidride carbonica da catturare e inibire nel sottosuolo. Il processo è noto come “Reazione di spostamento del gas d’acqua (wgs, water gas shift)”.

Reforming primario

CH4 + H2O → CO + 3 H2 -191,7 kJ/mol (T=700÷1100°C)

Reforming secondario

CH4 + 2O2 → CO2 + H2O
2H2 + O2 → 2H2O
CH4 + H2O → CO + 3H2
CH4 + CO2 → 2CO + 2H2

Reazione di spostamento del gas d’acqua (wgs, water gas shift)

CO + H2O → CO2 + H2 + 40,4 kJ/mol (T=450°C)

Si evita così, con quest’ultimo passaggio, il pericoloso monossido di carbonio e si cattura l’anidride carbonica nel sottosuolo.

Idrogeno turchese

Si sta tentando di ricavare idrogeno (ma attualmente siamo in una fase sperimentale) dal gas naturale tramite un processo di pirolisi del metano che porti alla formazione di idrogeno gassoso e carbonio solido. L’idrogeno così prodotto è considerato a basso contenuto di carbonio.

Idrogeno rosa

L’idrogeno può essere prodotto anche per elettrolisi dell’acqua, ovvero tramite un processo elettrolitico nel quale il passaggio di corrente elettrica provoca la separazione dell’idrogeno dall’ossigeno. Quando l’energia che alimenta il processo proviene da una centrale nucleare (vedi in basso i Link correlati), l’idrogeno ottenuto viene classificato come idrogeno rosa. Questa soluzione apporta il vantaggio della produzione di idrogeno con basse emissioni di carbonio (emissioni che non provengono dall’elettrolisi, naturalmente, ma dall’estrazione dell’Uranio che alimenta la centrale) e porta al contempo lo svantaggio, non trascurabile, dei rischi più che noti che caricano l’altro piatto della bilancia.

Idrogeno giallo

L’idrogeno che è prodotto per elettrolisi dell’acqua alimentata da energia solare viene denominato idrogeno giallo. Come in ogni soluzione troviamo sia vantaggi che svantaggi. La produzione è estremamente pulita e si avvantaggia di energia che non “costa” e che altrimenti andrebbe sprecata: l’irraggiamento del Sole sulla Terra. In questo modo è possibile “dimenticare” che l’energia elettrica richiesta per produrre idrogeno è maggiore di quella restituita nel momento dell’utilizzo ad esempio all’interno di celle a combustibile.
Lo svantaggio è rappresentato dalla variabilità del meteo ma bisogna tenere conto di quali zone del pianeta si possono (vogliono) impiegare per la produzione di idrogeno nel momento in cui sul nostro territorio l’inverno limita drasticamente le possibilità.
I territori più adatti e vasti del pianeta possono produrre quantità oltraggiose di energia elettrica e di idrogeno senza ledere il paesaggio, l’agricoltura, le persone. Il discorso completo risulta assai complesso.

Idrogeno verde

Allargando il concetto di idrogeno giallo a tutte le fonti rinnovabili si ottiene la nomenclatura di idrogeno verde. L’elettricità per produrlo può essere ottenuta non solo dal sole ma anche dall’eolico, ad esempio, per non parlare dei moti ondosi che sembriamo ignorare e non voler sfruttare minimamente (vedi in basso i Link correlati).

Idrogeno marrone

L’idrogeno marrone viene prodotto dalla gassificazione di un carbone fossile proveniente da foreste esistite tra decine e centinaia di milioni di anni fa. Tale carbone prende il nome di Lignite. La lignite contiene quantità di ossigeno e idrogeno molto maggiori rispetto al carbone nero (voce di seguito). Il processo di gassificazione (atto ad ottenere syngas) risulta estremamente inquinante in quanto converte il materiale carbonioso in idrogeno (H), monossido di carbonio (CO) e biossido di carbonio (CO2) rilasciando però in atmosfera gli ultimi due.

Idrogeno nero

Allo stesso modo dell’idrogeno marrone viene prodotto l’idrogeno nero. La differenza sostanziale risiede nell’impiego di carbone nero (bituminoso).

Idrogeno grigio

Come già visto per quello blu si può ottenere idrogeno dal processo di steam reforming impiegando gas naturale anziché carbone. Se però l’anidride carbonica prodotta viene rilasciata in atmosfera, la nomenclatura passa a idrogeno grigio. La produzione di un chilogrammo di idrogeno può generare circa 9 chilogrammi di CO2.

Conclusioni

Attualmente il metodo più diffuso per produrre idrogeno è l’ultimo citato, quello che restituisce idrogeno grigio. Verrebbe da pensare sia quello in grado di sfruttare le rinnovabili, ovvero quello verde, ma… non è così. Però ci si sta lavorando e questa volta qualcosa sembra muoversi molto più che in passato.

Esporrò le mie modeste personali inclusive conclusioni nell’ultimo articolo di questa rubrica nella speranza di stuzzicare positivamente le menti più fertili dell’orizzonte contemporaneo.

Continua…

Video

Che cos’è l’Idrogeno verde? | www.youtube.com/watch?v=gEByrL5a27c

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Intro

Anche se attualmente non vi è una comunicazione chiara in tal proposito, forse per il timore (giustificato) di perturbare una delicata transizione, entro pochi anni il mercato della mobilità non sarà dominato dalle auto elettriche. Sebbene attualmente le vendite stiano gradualmente crescendo, si tratta in realtà di un prodotto introduttivo che aprirà a qualcosa di molto, molto più evoluto dal punto di vista fisico.

In passato scrissi un articolo che si intitola “Il futuro è ibrido” (vedi in basso i “Link correlati”). Per l’utente medio poteva essere difficile comprendermi in quegli anni ma, studiando dettagli tecnici approfonditi, era evidente che i veicoli a trazione puramente elettrica, per quanto strabocchevoli, affascinanti, puliti, interessanti, futuristici ed in grado di trasmettere al guidatore la sensazione nuova di essere a bordo di una astronave*, presentavano e presentano dei limiti che non affliggono invece i veicoli dotati di motore a combustione interna. Da ora in avanti considereremo i motori a combustione interna appartenenti a tre grandi varianti: quella puramente a combustione interna (che non è detto debba necessariamente essere alimentata da benzina, gasolio, gas metano o gpl), quella integrata nelle soluzioni ibride vere complete (capaci di due sistemi di trazione puri), nonché la variante integrata nelle soluzioni ibride range extender con motore a combustione interna il quale, in funzione di generatore elettrico, alimenta a regime costante un motore di trazione elettrico abbattendo la quantità di carburante impiegata dalla soluzione tradizionale con motore a c.i. collegato direttamente alle ruote (soluzione motore/generatore ampiamente diffusa da anni nel settore navale). Quest’ultima variante è disponibile oggi con alternative assai interessanti, e oltremodo pulite, che andremo presto ad analizzare.

I motori a combustione interna, pertanto, rimangono un punto di riferimento nonostante siano oramai vetusti e dotati di tecnologia più che matura, anziana, per non dire obsoleta. Essi, pur sempre capaci di un fascino puramente emozionale, e certamente secondario alle fondamentali priorità ambientali, permettono un piano di marcia notevolmente più semplice e consumi oramai irrisori (si può oggi tranquillamente arrivare ai 100 chilometri con un litro di carburante utilizzando tutta la tecnologia ibrida già disponibile).

Noi però sappiamo (perdonate la crudezza con cui solitamente osservo la realtà) che all’utente medio poco o affatto importa il tema dell’ambiente se non gli si offre l’equivalente di una caramella in cambio. Vuol sentire qualcosa di dolce, vuole servizi che ama credere siano in regalo, vuole risparmiare illudendosi che non ci saranno costi ad aumentare altrove per compensare quanto non ha pagato, vuole credere a tutte le sciocche semplificazioni a cui è solito credere nell’era attuale e fregarsene di tutto il resto. Vorrebbe persino, e questo è assurdo, assurdamente avido ed assurdamente stupido, arrivare a guadagnare sul cambio della vettura e sull’eventuale cambio della fonte di energia. L’utente medio attuale è folle, è viziato, è pretensioso e sciocco quanto basta da esser sufficientemente credulone. E tutto questo è possibile, nel momento in cui decide di dare il via ad un cambiamento, per l’intervallo di tempo industrialmente equivalente alla vita di una scintilla di saldatura che parte dall’emissione sino a quando tocca terra sulla superficie dell’ambiente in cui è stata generata spegnendosi.

*Sia per i sibili caratteristici delle diverse curve di accelerazione, sia per le sensazioni impresse sul corpo dalle accelerazioni stesse, sia per il silenzio che lascia importanti spazi di ascolto al rotolamento delle gomme.

Il problema dell’utente medio

Gli utenti delle auto elettriche, mediamente, sono a digiuno su tre aspetti fondamentali del prodotto: la profondità della tecnica (il prodotto sembra semplice ma… non lo è), il modo di utilizzo corretto (il prodotto sembra invincibile ed indistruttibile ma… non lo è) ed il modo di aver cura del prodotto (premiare e valorizzare il prodotto per il suo esteso potenziale).

Qualunque casa madre vi dirà che non sono punti importanti in quanto vengono semplificati agli estremi proprio per permettere all’utente di non avere preoccupazioni di alcun tipo ed accogliere la “nuova” tecnologia. Tuttavia solo quando un prodotto è largamente e opportunamente compreso dai clienti incontra finalmente un largo consenso. L’utente non lo deve vedere come un mistero. Deve percepire una sensazione di completezza quando ne parla, riconoscere che non ne capisce nulla ma che tutto sommato gli è chiaro quali siano i fattori in gioco. Il motore a c.i. è così: in pochi lo conoscono realmente a fondo ma tutti hanno assorbito in qualche modo cosa possiedono e cosa può e non può fare, cosa gli occorre, come si romperà, di cosa soffrirà…

Non si parla molto di quante persone siano rimaste deluse dai veicoli elettrici che ora costituiscono il largo bacino dell’usato. Così come non si parla molto del fatto che una buona parte dei veicoli rimessi prontamente in vendita non sono colpevoli di alcunché se non di un errato utilizzo da parte dei loro utenti. Molti sono coloro che hanno alimentato autonomamente non le proprie vetture ma la propria fantasia vaporizzando attorno ai sensi aspettative surreali mai promosse dalle case costruttrici. Utenti con influenze e suggestioni coltivate osservando il mondo del cinema dei supereroi e che non trovano connessioni solide con il reale se non tramite lo specchio delle proprie illusioni rafforzate dall’aspetto degli abitacoli e dai suoni di bordo.
In molti casi i veicoli sono stati utilizzati male, sollecitati troppo, scambiati per indistruttibili e privi di manutenzione, nonché per veicoli “sempre pronti” a fornire qualunque prestazione fosse richiesta. Ovviamente è una visione completamente distorta e con un lato troppo “bambino” emerso nell’uso del prodotto che aveva tutt’altro senso, tutt’altro scopo, tutt’altre funzioni.

La resa energetica

Malgrado gli aspetti tecnologicamente contrastanti e le ovvie difficoltà nel mettere in relazione nel modo corretto tecnologie ed utenti finali che risultano spesso digiuni sui tre punti fondamentali (ricapitolando: profondità della tecnica, modo di utilizzo corretto di un nuovo concetto di prodotto e modo di cura corretta del tale prodotto), avevo fatto ipotesi su una rotta che poi si è mostrata corretta (non è scontato, non sempre accade ciò che è tecnicamente logico). Ma non ero io ad avere ragione, era la fisica ad averne.

I veicoli a combustione interna godono del vantaggio di poter accumulare nei loro serbatoi grandi capacità di energia, ogni chilogrammo di carburante equivale a circa 12 kWh che, per serbatoi da 50 litri, si traducono in un potenziale energetico di circa 600 kWh per la comune benzina.

Naturalmente, però, va tenuto conto di un’altra fondamentale caratteristica fisica di cui si parla troppo raramente e, sovente, nel modo errato o di difficile comprensione per il comune utilizzatore: il rendimento. Un powertrain elettrico vanta un rendimento della macchina elettrica (dove per macchina elettrica si intende il solo motore di trazione) superiore all’85-88% mentre un motore a combustione interna, per quanto aggiornato ed efficiente, a fatica si dimena intorno al 25% effettivo tenendo conto delle condizioni climatiche non sempre favorevoli e spesso lontane da quelle ideali di progetto (per l’aspirazione, la combustione, l’eventuale sovralimentazione) e dello stato di manutenzione del veicolo nella media di un paese che arranca operando sui propri veicoli solo lo stretto necessario per passare la revisione (situazione ben lontana dal mantenimento nelle condizioni di efficienza). Va tenuto poi conto del fatto che il rendimento complessivo di un motore a combustione interna è frutto di una combinazione di rendimenti, ovvero: rendimento organico, termico e volumetrico (nei quali però non entreremo in dettaglio così da essere più scorrevoli).

Ora qual è il punto? Il veicolo ibrido vero (quello dotato di motore a combustione interna per l’uso in extraurbano e powertrain elettrico reale, completo, capace di garantire elevate autonomie nell’urbano in sola modalità elettrica e di essere ricaricato, abitazione o luogo di lavoro permettendo, da stazioni fotovoltaiche mediante presa plug-in) coniuga i vantaggi delle due modalità quando, per l’appunto, è un reale ibrido. Molti ancora oggi lo ignorano ma un reale ibrido ad elevato contenuto tecnologico è in grado di percorrere tranquillamente 60 km con un litro di carburante (e ancor di più riducendo le masse dei veicoli impiegando maggiormente i materiali compositi) sfruttando il supporto dell’elettrico e di una stazione fotovoltaica domestica sufficientemente bilanciata. Era quindi inevitabile che la soluzione ibrida fosse la migliore ed il futuro fosse pertanto “ibrido”. Niente tappe alle stazioni di ricarica da pianificare; niente arresti immediati del veicolo per guasti nell’una o nell’altra soluzione di trazione, la giusta praticità nei diversi percorsi senza perdere autonomie importanti e il gusto dominante di impostare tutta la tecnologia disponibile come un vestito che calza a pennello sulle proprie necessità di marcia, di lavoro, di divertimento.

La filiera mondiale tra le più vaste

L’assenza in futuro di soluzioni a (o derivate da) combustione interna è pura follia. Significherebbe distruggere intere enormi filiere globali di produzione di componentistica, accessori, minuterie, materiale di consumo e servizi dei motori alternativi: bielle, pistoni, alberi, bronzine, boccole, volani, frizioni, guarnizioni, sedi valvole, guidavalvole, prodotti chimici, testate, monoblocchi, cambi, ruote dentate, alternatori, sistemi di iniezione, accensione, sovralimentazione, distribuzione… Significherebbe che decine, centinaia di migliaia di aziende nel mondo con milioni di dipendenti nel 2035 chiuderanno definitivamente dando origine alla più grande depressione di massa di tutti i tempi. Ovviamente no. E questo le aziende lo sanno fin troppo bene (per la gioia di comuni utilizzatori, utilizzatori professionali e appassionati).

Ricordo ai lettori che se lo sono perso, l’articolo che raccontava loro come in realtà la prima auto elettrica sia nata alla fine del 1800 prima della prima auto a combustione interna (vedi in basso i Link correlati) e di come essa sia svanita dileguandosi per i medesimi problemi di oggi: la massa elevata delle batterie, la forte dipendenza da mercati troppo monopolisti per l’approvviggionamento delle materie prime per la produzione di tali batterie, la difficoltà di gestione di simili mezzi, l’aumento forte dei prezzi dell’energia elettrica naturalmente conseguente da una domanda spasmodicamente più elevata che per il solo consumo casalingo…

Pertanto come è virato il futuro ora? Sarà sempre ibrido? Sarà elettrico? Si adotterà una nuova tecnologia che ancora non conoscete? La risposta è sì, sì a tutto. Il futuro sarà ibrido, sarà elettrico e farà uso di una tecnologia che, sebbene sia allo studio da decenni, ancora non conoscete realmente in profondità: l’idrogeno.

I motori saranno ibridi con soluzioni idrogeno-elettrico (con  batterie molto piccole e molto gestibili lungo l’intera filiera) e la filiera del motore a combustione interna non sarà abbattuta, sarà fortemente innovata (e forse, normative permettendo, fortemente retrofittata) con importanti upgrade dell’hardware e delle normative di sicurezza in tal proposito. I motori avranno sempre alberi, bielle, pistoni, valvole e tutto quello che vi dà un gran gusto ma emetteranno semplicemente vapore acqueo allo scarico e avranno il supporto del motore elettrico ma con batterie molto più piccole, economiche, affidabili e di facile manutenzione e sostituzione.

Tutta la filiera della componentistica di manovellismo e distribuzione continuerà ad esistere ma impiegherà leghe più raffinate e sistemi di alimentazione che, volgarmente, solo per intenderci, assoceremo ai vecchi impianti a metano: bombole, sistemi di iniezione, di ricarica, di sicurezza…
Certo è che i motori a combustione interna non saranno più le prime donne del settore automotive ma parteciperanno con quote alla pari, e poi decrescenti, in un mondo ben più vasto di offerta tecnologica.

Le barriere da superare riguarderanno gli accordi a cui diversi paesi proveranno a non rinunciare e che vedevano come eterne le forniture di gas, così come i monopoli sulle terre rare necessarie alla produzione delle batterie. Le guerre che vedremo saranno per la gestione delle risorse naturali e solo chi sarà lungimirante saprà essere indipendente da “La storia che ritorna a farsi viva” (cambiano le ere, cambiano gli oggetti, ma i metodi son sempre quelli).

Un sogno impossibile

Se immaginate il mercato come un campo magnetico e il naso degli utenti medi come l’ago di una bussola, potremmo sostenere che la direzione verso cui puntano le masse è possedere un veicolo alimentato da un’energia che l’utente possa farsi da solo per non sostenere costi e girare liberamente quanto vuole e dove vuole. Sebbene si tratti di utopia, con l’elettrico il sogno sembrava più vicino che mai.

D’altra parte i veicoli elettrici peccano ancora per l’affidabilità delle numerose celle che li equipaggiano, ne bastano infatti poche difettose per danneggiare l’intero pacco batterie e creare problemi notevoli di ricarica, di erogazione della potenza e di affidabilità del sistema. Inoltre non aiutano le continue violente accelerazioni a cui molti utenti hanno sottoposto i propri veicoli elettrici per stupire gli amici. Fenomeni che hanno indotto degrado anomalo dei pacchi batterie per via delle intense correnti erogate, delle temperature operative e delle sollecitazioni alle quali sottoponevano l’elettronica di potenza. Fenomeno che ha dato origine ad un pubblico scontento che non ne vuol sapere di capire di aver fatto un uso scorretto del veicolo: prestazioni racing richiedono manutenzione racing. Richiedere prestazioni da competizione, infatti, implica una manutenzione altrettanto da competizione che, quando si è presentata la necessità, è stata omessa per contenere i costi di gestione del veicolo. Ciò ha generato non pochi problemi sulla fiducia dell’utente medio nei confronti dell’elettrico, ma questa fiducia è venuta meno senza considerare i tre fattori preponderanti che abbiamo già introdotto: l’ignoranza su come è fatto il prodotto, l’ignoranza sull’uso del prodotto e l’ignoranza su come va curato un simile particolare prodotto.

Inoltre quante persone dispongono (o possono disporre) di una casa singola dove sia possibile installare la propria stazione di ricarica fotovoltaica? Quante ritengono ancora importante investire nella proprietà privata dopo dodici anni di campagne volte a distruggere il valore degli immobili? Come si pensa di indurre l’utente ad essere responsabilmente green senza opportuni incentivi sugli impianti stand-alone che lo liberino, almeno in parte, da incrementi di spese di bollette privi di senso? Quanti utenti si sono accorti vent’anni fa che i costi degli incentivi dei primi impianti fotovoltaici gravavano su chi il fotovoltaico non ce l’aveva? Quanti invece si sono accorti che gli aumenti attuali sono volti a coprire le spese per le stazioni di ricarica e la nuova distribuzione e non c’entrano nulla con la guerra? Quanti si sono accorti che ogni volta che si cambia una fonte di energia in favore di un’altra non lo si fa mai per l’ambiente ma solo per un risparmio iniziale che si brucia subito non appena la grande massa verte compatta sulla nuova fonte andando ad incrementare la domanda e quindi i prezzi che rendono così la nuova fonte “non conveniente”? Quanti si sono accorti che sarebbero necessarie nuove celle per la trazione elettrica e che questa ricerca collide con accordi tra paesi non sempre in perfetta armonia economica tra loro? Quanti si sono accorti che perseverare sulla strada delle attuali celle elettrochimiche sarebbe insostenibile nel 2035?

Per non parlare dell’avidità di quegli utenti che fanno qualcosa solo se porta un vantaggio economico, poi come il Mondo va, va. Se cambi un metodo ci deve essere un motivo più nobile del denaro. Se tutti passerranno ad una determinata nuova energia, sarà proprio quell’energia ad essere la più costosa per via di semplici regole di mercato (domanda-offerta). Pertanto o le cose le studi e le fai da te nel periodo in cui nessuno le vuole e nessuno le capisce (e ci sono una manciata di uomini in grado di farlo), oppure sei costretto a pagarle care.

Al via la nuova rubrica sui motori a idrogeno

E’ con questa premessa che dò il via ad una nuova rubrica sui motori ad idrogeno che spero vi sorprenda positivamente. No non scomparirà l’amata auto a scoppio, il suo rombo e la sua complessità meccanica da mettere a puntino nel desiderio agonistico di raggiungere prestazioni da cavallo di razza e no, non scomparirà un’altra volta la soluzione elettrica (come accadde a fine 1800) che negli ultimi anni ci ha rapito per le sue fulminee accelerazioni ed i suoi sibili da astronave con un ritorno per i pedoni all’aria pulita,  il silenzio, la “pace” e la tranquillità nel vivere i centri delle città e dei numerosi affascinanti paesini di cui è ricca la buona vecchia signora Italia.

Continua…

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Tra le masse le persone che tentano di argomentare vengono derise

Rubrica: Così è la vita

Titolo o argomento: Chi ha studiato a fondo è più mite, imparziale ed equilibrato, chi non conosce e non capisce troppo facilmente beffeggia

TRA LE MASSE LE PERSONE CHE TENTANO DI ARGOMENTARE VENGONO DERISE. UNA SEMPLICE OSSERVAZIONE PARTENDO DA UN VIRUS ROGNOSO, PASSANDO PER L’E-COMMERCE MASSIVO CHE STA DISTRUGGENDO IL NOSTRO PAESE, PROSEGUENDO CON UOMINI IN VISTA PRIVI DI CONTENUTI, IL DUBBIO E LA FEDE. Con una citazione cardiotonica tratta da Luciano De Crescenzo.

Virus, questo sconosciuto. L’Uomo moderno “stressato” non ha memoria

Sul web le persone che tentano di argomentare vengono derise. Vi è una forte suddivisione bipolare, ad esempio, che vede da un lato i sostenitori a spada tratta della divulgazione dell’informazione di massa sul Covid-19 e dall’altra i negazionisti. Qualunque spiraglio di argomentazione equilibrata nel mezzo, qualunque riflessione o tentativo di approfondimento è spunto di derisione da parte di persone che, nella paura della loro spropositata ignoranza e superficialità, si schierano a partito preso, con totale pienezza, sulle spalle dei giganti. Nel dubbio, sai… non si sa mai.

Ma se leggete i testi di Scienze, della Storia delle Scienze, sono innumerevoli i casi in cui si è dovuto fare un passo indietro e correggere, affinare, rifare o, persino, ripensare da capo un assunto. Se leggete la storia dell’Uomo infiniti sono i casi in cui l’ignoranza ha fatto affiliare le menti ad enormi cantonate. Ne è piena la storia della Fisica, della Chimica, della Matematica, della Biologia del corpo umano, dell’Astronomia, della Fisica delle Particelle…

Per citare un esempio chiaro, pratico, recente, privo di ipocrisie ed eufemismi, la Neurogenesi. Un tempo si pensava che il cervello smettesse di produrre neuroni dopo la nascita, appena consolidatosi. Venne fuori poi, nel 1998, che nell’ippocampo “qualcosa” è invece attivo anche in età adulta: le staminali presenti in una regione dell’ippocampo. Vi furono poi ulteriori conferme ma, come potete immaginare, non mancarono anche le controversie. Vi fu, infatti, chi tentò di dimostrare che i neuroni di un adulto sono minori in quantità rispetto a quelli di un bambino. Ma si dimostrò l’esistenza di un processo, definito “potatura sinaptica”, che tende a interrompere le connessioni con i neuroni inutilizzati al fine di ottimizzare il funzionamento del cervello, la capacità di elaborazione, la memoria nonché il risparmio energetico (il cervello è energivoro). Allora si andò a verificare la “giovinezza” delle cellule neuronali presenti e si contestò nuovamente la teoria che però dovette prendere in considerazione anche che molecole come il glutammato ed il cortisolo (vedi in basso i link correlati) eccessivamente presenti nella società stressata di oggi diventano fortemente nocive per il cervello arrivando ad atrofizzare, almeno parzialmente, l’ippocampo. Chi ha ragione? Chi può esprimere certezza definitiva? Per questa ragione gli “obblighi” sono umanamente sbagliati a prescindere da chi abbia ragione (al momento).

E invece riflettere e argomentare fa bene alla salute della popolazione in generale. Fa bene alla mente. Quanti di quelli che deridono o giudicano sanguignamente hanno mai aperto un libro in più? Quanti hanno mai consultato un ricercatore? Quanti hanno sentito la versione di più di un medico e non solo la versione del “Dò retta a colui che afferma quel che voglio sentirmi dire”, quanti?

Ho ascoltato decine di medici, infermieri, ricercatori anche sul tema Covid-19. E tutti, dico tutti, al di fuori dei social e dell’intervista televisiva, si sono sbilanciati in loro riflessioni. Riflessioni che molto spesso erano distanti pur nel rispetto del diverso pensare del collega. Riflessioni che abbracciavano un’intera gamma cromatica e non solo due colori distinti opposti. Molti hanno avuto la maturità ed il coraggio (privatamente) di dire la frase più importante: “Non lo so”. Li ho apprezzati, non li ho derisi. Ho apprezzato i loro spunti le loro comparative con altri fenomeni a partire dalla Spagnola, i loro riferimenti alle Neuroscienze, alla Biologia Molecolare, alla Genetica, alla Virologia, utili per ragionar su, non di certo per deridere.

Chi desidera ragionare non deve essere assimilato ad un folle negazionista. E’ invece una persona che vuole capire. Oggi tentare di capire è diventato oggetto di derisione da parte di stolti che non hanno il coraggio di ammettere, come invece sa fare un medico con decenni di esperienza, il semplice “Non lo so”.

E-Commerce massivo

Stesso dicasi per il fenomeno dell’E-Commerce massivo che sta distruggendo la piccola e media impresa italiana. Non mi sono limitato ad osservare i dati di cui dispongo tramite il mio lavoro e quello dei miei colleghi, i famosi dati che potrebbero “farmi comodo” perché sostengono le mie teorie. No. Sono andato oltre arrivando fino alle precedenti amministrazioni del leader di settore dell’E-commerce massivo, fino ai report più approfonditi, fino all’Istituzioni pilastro per questo paese che hanno combattuto (e stanno combattendo) gravi casi di evasione fiscale proprio da parte dei giganti che operano sul nostro territorio. Sono andato oltre arrivando fino ad interessanti libri che, se volete, potete trovare in tutte le librerie perché non è stata fatta alcuna censura sul tema. Affinando la ricerca fino alle leggi emanate dai Governi per porre delle regole ai concorrenti sleali. Sono risalito a testimonianze di grandi marchi come Nike ed altri big dei settori di alta qualità che hanno “negato” ai “top seller sleali” la possibilità di vendere i propri prodotti con circuiti non approvati. Ed ho raccolto una mole di dati impressionante che conferma l’attività non corretta da parte di chi ambisce al monopolio, al controllo totale del commercio con i danni conseguenti che sta apportando al nostro paese.

Un indizio che potrebbe destare la vostra curiosità potrebbe essere, forse, la ricerca di libri come ad esempio quelli scritti da un certo Martin Angioni (professionista affermato che parla con cognizione di causa di temi sui quali ha una notevole competenza) e delle innumerevoli ramificazioni a cui potete accedere da soli dando vita ad una vostra personale ricerca.

Eppure la massa adesso vuol vedere solo ciò che fa loro comodo, solo quello che la loro avidità gli detta. Più in là avranno modo di capire ciò che oggi non vogliono sentire e ci passeranno in prima persona, ma ora non roviniamogli la festa. Lasciamoli deridere gli altri, lasciamoli privare di valore ciò che a loro avviso lo merita e osserviamo come reagiranno quando capiranno, se capiranno, quando negheranno, quando nel futuro prossimo affermeranno di aver acquistato solo due cianfrusaglie “innocenti”.

L’Uomo in vista che dopo lo scandalo è rinnegato

Un po’ come quando il “capo carismatico” del momento è sostenuto da tutti e poi rinnegato, abbandonato, gettato via dagli stessi che han preteso di salire sul suo carro quando era vincente. Quante sono le persone che conoscete che hanno sostenuto personaggi, poi risultati meri opportunisti, nei primi tempi in preda al sogno effimero di imitarne le speculazioni imprenditoriali e arricchirsi con leggera semplicità? Poi ovviamente, con chiunque si parla a sipario calato, nessuno sa niente, nessuno l’ha sistenuto. I social, poi, hanno peggiorato le cose grazie ad uno schermo protettivo che deforma piccoli agnellini a possenti felini. Tutto detto e tutto dimenticato o, peggio, rinnegato, prima che il fulmine tocchi terra.

Diceva il grande Luciano De Crescenzo

“Questo è il bene e questo è il male. Il bene è il dubbio; quando voi incontrate una persona che ha dei dubbi, state tranquilli, vuol dire che è una brava persona, vuol dire che è democratico, vuol dire che è tollerante. Quando invece incontrate questi qui, quelli che hanno le certezze, la fede incrollabile, allora state accorti, vi dovete mettere paura, perché, ricordatevi quello che vi dico, la fede è violenza, la fede in qualsiasi cosa è sempre violenta”.

Ci tengo a precisare che la fede citata da De Crescenzo la vedo più come una fede ottusa, quella massiva e inanimata della storia. La stessa dei sostenitori che montano sulle spalle dei giganti, per intenderci, la stessa dei negazionisti, la stessa dei bigotti, la stessa degli ignoranti (dove per ignorante si può intendere anche la persona con quattro lauree che però è chiusa, non costruttiva, di mentalità vincolata e fortemente dogmatica, arrogante e prevaricatrice e dove il saggio può essere anche il vecchietto in cima alla montagna che, dopo una vita, vede tutto limpido…).

Personalmente ho la mia Fede, la Fede del mio animo, che riguarda me, che non necessita l’imposizione sugli altri, avverto la presenza di una veglia su di me, della Natura, di un Universo molto più complesso di quanto osiamo immaginare, che non mi so spiegare, di un Padre una Madre architetti della vita, dell’Universo strutturato anche tramite la nobiltà della Matematica, e delle Scienze tutte, come unico risvolto percepibile di qualcosa di più grande e non descrivibile. Dalla sezione Aurea, alla Matematica dei Frattali di Mandelbrot, al concetto di Infinito, passando per la Fisica Quantistica, fino alle Macchine Molecolari, ci vedo qualcosa di più del caso, del semplice caso. Nel musetto del cane, al parco, che si appoggia sulle mie gambe quando sono triste e nemmeno mi conosce… in quel batuffolo di peli ci vedo qualcosa di più del frutto di un caso. Nelle intuizioni, nelle sensazioni che una madre ha con il proprio neonato… ci vedo molto, molto di più di un Universo nato per caso.

Gli credo anche senza prove e, forse, proprio per questo, di prove ne ho avute. Ma la mia Fede si accompagna al rispetto, al libero arbitrio, all’apertura mentale, al dubbio, appunto, che per ognuno di noi tutto sia diverso e per ognuno di noi tutto abbia il proprio motivo, il proprio percorso. Ragione per cui non esistono risvolti violenti nella sincera fede dell’animo. Unico appunto che mi sento di dover fare al Professor De Crescenzo con cui, purtroppo, non posso aver modo di intraprendere un piacevole dialogo che porti sul tavolino del Thé i nostri rispettabili dubbi.
Non credo invece nei massacri della storia, nelle sue economie, né tantomeno nel bigottismo anche se personalmente risvolti violenti ne hanno avuti in passato, nella storia, ma oggi, penso, spero (forse illudendomi), non più.

Così, tornando a noi, mi chiedo: “Perchè mai la mattina mi apro qualche minuto alle convinzioni dei miei amici e trovo racconti di gente che deride ipotesi fatte da esperti senza aver nemmeno tentato di studiare l’argomento e averlo approfondito per vedere se tali esperti dicono castronerie o ipotesi sensate?”. E ancora: “Come mai oggi, che ci definiamo evoluti, le prese in giro mettono così tanta paura da far schierare subito tutti quelli che si sentono da meno in favore dei giganti?”. E’ probabile che siano solo stupidi? Alcuni nascono Border Collie, altri pecore, greggi di pecore, altri pastori, altri cacciatori…?

Siate equilibrati

Quanto sostenuto in questi esempi è solo a scopo chiarificatore di concetti che altrimenti sarebbero troppo astratti. Potete applicare forme di equilibrio con calma e misurata calibrazione ad ogni tema caldo di ogni momento storico. Io mi guarderei bene dal credere alle definizioni drastiche, agli obblighi drastici, perché potrebbero nascondere facce che non avevate considerato.

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Cit. elegantemente vernacolare, Luciano De Crescenzo

Lifelong Learning. L’apprendimento che non finisce mai: Il cervello è duale

Rubrica: Apprendimento | Learning

Titolo o argomento: Efficientamento del tuo potenziale

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Il cervello è duale

Potremmo dire che il cervello ha un comportamento duale nel rapporto con lo stressor. Esso somatizza lo stress (con le conseguenti ripercussioni sulla sua struttura e sugli organi tutti dell’organismo) ma, allo stesso tempo, è in grado di selezionare cosa lo stressa e cosa no. Paradossalmente, quindi, è il cervello che decide cosa lo distrugge.

Un lavoro che per me potrebbe essere piacevole e gustoso perché richiede pazienza e meticolosità, per un’altra persona, magari ansiosa e frettolosa, potrebbe essere fonte di stress per la lunga attesa necessaria all’ottenimento del risultato o per l’intensità dell’impegno richiesto. Allo stesso tempo un lavoro per me piacevole potrebbe diventare la mia fonte di stress se un collega insopportabile lo contamina quotidianamente ed io mi chiudo invece di imparare punti di osservazione nuovi. L’entrare in empatia con una persona che appare ostile ma che in realtà potrebbe risultare quantomeno una persona ininfluente se presa per il verso giusto potrebbe rappresentare un punto di osservazione da tenere in considerazione. Potrebbe non trattarsi di amorevolezza bensì della capacità di comprendere l’altro se non altro per azzerarne gli effetti su di noi (inserire nell’equazione il valore che l’azzera).
Ad esempio comprendo che quel collega di lavoro è nervoso ed ostile perché soffre per il suo divorzio e, accecato dai problemi, risulta comprensibilmente intrattabile; per queste ragioni non rilevo come stress il fatto che mi tratti male ma ignoro questo comportamento, senza soffrirne, immaginando che io potrei fare altrettanto nella medesima situazione.

Anche le paure giocano un ruolo fondamentale così come la disinformazione (utile per spaesare e gestire le masse nonché, prima tra tutti, la loro capacità di spesa: decidere verso cosa e verso chi incanalare il flusso economico legato al frutto dei propri sforzi come lavoratori o investitori), l’incapacità (o l’assenza di volontà) nel verificare la veridicità di fonti, l’impazienza legata al voler dare una risposta immediata (e comoda) ad ogni cosa o al voler ottenere “tutto” con irrazionale immediatezza. Fattori che devastano la stabilità e l’equilibrio della persona, fattori che alimentano conflitti tra gli strati coscienti e subcoscienti della persona che, difficilmente, riesce a rendersi conto da sola di ciò che le manca nella propria formazione (autodiagnosi). E’ molto, molto poco, probabile incontrare qualcuno che sia in grado, mediante autocritica e autosservazione, di diagnosticare le carenze di sé stesso.
Generalmente la strada preferita è quella dell’entrare in conflitto con chi ci osserva dall’esterno (posizione dalla quale si avvantaggia di un ulteriore punto di vista, a noi poco noto) anziché, alimentare argomenti costruttivi affinché le osservazioni esterne possano essere integrate a quel che noi conosciamo intimamente di noi stessi e che da fuori gli altri non possono osservare (non in maniera esplicita).

E’ per tali ragioni che, come avrete notato, i vostri amici difficilmente inizieranno una discussione con voi, su qualcosa che state sbagliando, in modo da evitare complicazioni. Superficialità volta alla semplificazione, alla riduzione dei problemi assorbiti in forma invariante nell’indifferenza collettiva. Il vostro cane, invece, non può fare a meno di venirvi a confortare se vi vede giù di corda o ad abbagliarvi con un brontolio smorzato in dissolvenza se non condivide una vostra scelta. Per questo lo amate di più di una persona… da lui accettate le critiche così come la stretta vicinanza, dalle persone no perché sapete che c’è un di più di cui non si parla per comodo ritorno, invidie, gelosie, attriti, perbenismi, complicazioni, argomentazioni infinite faticose da sostenere, mancanza di volontà nel voler osservare le cose da angolazioni “scomode”. Il cervello è duale anche in questo, percepisce ma si tiene alla larga. Teme ogni cosa che non conosce.

Coltivare paure

Coltivare paure all’interno del cervello, quindi, significa generare con il vostro cervello stress che danneggia il vostro stesso cervello. Il gioco di parole è strettamente necessario. A tal riguardo potrebbe interessare, se lo gradite, leggere l’articolo “Pensiero, ragione, presa di coscienza, paura…” per provare a comprendere come certe paure siano formative, forgino la persona e si rivelino addirittura utili, se e solo se, vengono conosciute, combattute, tradotte e neutralizzate.

Un circolo vizioso in cui cadono praticamente… tutti

Considerate anche il seguente circolo vizioso: vi stressate oltremodo per seguire lo schema capitalistico “essere fare avere” in modo non umano. Poi cercate piacere e comodità che (senza saperlo) ritenete opportune per ridurre il cortisolo. Ma queste comodità alimentano i circuiti del capitalismo “essere fare avere” (e il cane continua a mordersi la coda) perché avete bisogno di altro denaro per potervele permettere. Vi fanno sentire meglio, ritenete non danneggino l’organismo e lo aiutino altresì nella sua ripresa. Ma tutto ciò non sarebbe stato necessario se non aveste scelto la vita più stressante e traumatica possibile attualmente disponibile per il vostro organismo, per la vostra persona. Il capitalismo, quando è puramente fine a sé stesso, magari ad un’immagine di sola parvenza, vi danneggia e alimenta solo altro capitalismo il quale, solo in forma ipotetica, dovrebbe salvarvi. Trattasi di un assurdo matematico lampante: per salvarmi dal capitalismo alimento ciò che lo intensifica. Non è un caso che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) abbia rilevato che proprio in Europa e Nord America siano prevalenti i casi di stress e disturbi mentali rispetto al resto del Mondo.

Continua…

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Lifelong Learning. L’apprendimento che non finisce mai: Plasticità neuronale

Rubrica: Apprendimento | Learning

Titolo o argomento: Efficientamento del tuo potenziale

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Ora che abbiamo introdotto, in maniera del tutto informale, chi sono i principali giocatori nel nostro personale campo elettrochimico, possiamo citarli con un pizzico di consapevolezza in più per descrivere i metodi, le tattiche di gioco del cervello davanti alle situazioni che andiamo a considerare.

Plasticità neuronale: il cervello che si trasforma

In genere per plasticità si intende la proprietà di un materiale di essere fisicamente malleabile (l’esempio tra i più intuitivi che posso proporvi è sicuramente rappresentato dalla plastilina, il pongo). Si è scoperto che il nostro cervello non è statico come si pensava fino a pochi anni fa. Esso non rimane lungo la vita così come si è formato, impostato in principio, da bambini per poi invecchiare inesorabilmente perdendo le sue caratteristiche di partenza. Al contrario la sua caratteristica endemica è la plasticità ovvero la possibilità di modificarsi tutta la vita sulla base di specifiche esigenze. Nel caso del cervello parliamo precisamente di plasticità neuronale che esprime la capacità del sistema nervoso di modificarsi, da un punto di vista chimico, strutturale e funzionale, come risposta al passare del tempo o per contrastare il verificarsi di lesioni o, perché no, per rispondere a specifiche, anche severe, sollecitazioni della vita.

Cambiamenti chimici

L’apprendimento necessita di pratica costante altrimenti il rilascio dei neurotrasmettitori non è sufficiente per fissare le nuove abilità sviluppate. Se vi impegnate per qualche ora in un nuovo compito notate dei miglioramenti evidenti, ma se non ripetete con costanza l’esercizio e lasciate che passino giorni, settimane, sarà evidente come ogni volta dovrete ricominciare l’apprendimento dall’inizio (ad esempio con la chitarra o con un nuovo attrezzo da lavoro che utilizzate raramente). La pratica costante aumenta il rilascio di neurotrasmettitori rafforzando le capacità del cervello.

Breve nota per la salvaguardia dei bambini: le Neuroscienze hanno dimostrato che è molto più utile far esercitare un bambino anche solo 15 minuti al giorno con costanza nel tempo, giorno dopo giorno, lasciando che si diverta nel farlo, che traumatizzarlo nell’apprendimento ore e ore uno o due giorni la settimana, cosa che lo annichilisce solamente.

Cambiamenti strutturali

Sostenere che il cervello sia plastico non è un modo di dire giusto per comunicare che, se sollecitato, può aggiornare qualcosa di simile ad un software. Significa invece che può realmente mutare la sua morfologia, modificare l’hardware. Costanti stimoli inducono la germogliazioni degli assoni. Ricordate? Sono le “autostrade” su cui viaggiano i segnali elettrici a velocità più che doppie rispetto ad una Formula 1. Così come per gli assoni anche i dendriti (le fitte vie simili ad un attrezzatissimo centro urbano) mutano fisicamente generando nuove vie di collegamento e dismettendo quelle obsolete considerate inutili.
Allo stesso modo l’esercizio fisico migliora l’apporto di sangue (attraverso una molecola che prende il nome di ossido nitrico) e la relativa ossigenazione del cervello (nonché di tutti gli apparati del corpo) attraverso la generazione di nuovi vasi sanguigni capaci di arrivare sempre più in profondità (con tutti i vantaggi che abbiamo trattato nella rubrica “Curiosità sul cervello”, vedi i Link correlati in basso). L’organismo si adatta alle richieste più impegnative che gli vengono poste e con esse porta maggior qualità di vita. E’ come se l’organismo adorasse essere stimolato in modo costruttivo anziché essere abbandonato alla pigrizia o a stimoli incoerenti.

Cambiamenti funzionali

Questa innata capacità di adattamento del cervello porta quindi cambiamenti chimici, cambiamenti strutturali e, di conseguenza cambiamenti funzionali. Questo significa che può apprendere cose nuove, cose nuove di crescente difficoltà (come la Matematica, l’utilizzo di strumenti musicali, la risoluzione di problemi complessi, l’uso del corpo in modi sorprendenti nello sport così come nell’esempio solitamente sbalorditivo delle arti manuali). Ma può anche porre rimedio a situazioni gravi come ad esempio traumi. Il cervello, infatti, in seguito a lesioni, può autoattrezzarsi nell’utilizzo e nella specializzazione di nuove aree, al fine di compensare un deficit, tanto più facilmente quanto più è stato stimolato in un periodo sufficientemente lungo precedente al trauma. Il cervello può quindi crescere e arricchirsi nelle zone maggiormente utilizzate per adeguarsi a precise richieste. Ma ci riesce non necessariamente in seguito ad un lavoro intenso, bensì in seguito ad un lavoro costante di intensità proporzionata e variabile con il crescere delle prestazioni (alla stregua di un muscolo).

Gli stimoli

Quindi i neuroni comunicano tra loro tramite le sinapsi che hanno luogo grazie al rilascio di neurotrasmettitori. Necessitiamo di stimoli soprattutto di tipo cognitivo perché gli stimoli in sé, se sono privi di senso, non migliorano le prestazioni del cervello ma anzi lo affogano nella confusione. Necessitiamo di esercizio anche fisico perché il maggiore apporto di sangue ossigenato al cervello stimola la neurogenesi ovvero la crescita di nuovi neuroni (grazie alle staminali presenti in una regione del cervello denominata ippocampo).

L’apprendimento deve essere impegnativo per il cervello. Se si riescono ad imparare cose sempre più difficili, articolate, complesse, specializzate, otteniamo i benefici maggiori. I dati, le funzioni, le specializzazioni apprese verranno fissate la notte nel sonno (dove saranno riattivati gli stessi neuroni impiegati nell’apprendimento di giorno) e poi rinforzate con l’allenamento, la pratica, l’impegno teorico, l’ossigenazione cerebrale.

Impegno mentale di livello crescente, attività fisica, sonno, alimentazione sana… sono gli ingredienti per un cervello heavy-duty ma la volontà e la propria esperienza personale (rielaborata perseguendo una saggezza costruttiva) fanno la differenza molto più del singolo esercizio meccanico.
Hanno un’influenza non trascurabile anche la predisposizione iniziale dell’individuo e lo sviluppo di capacità “fissate” (non temporanee) derivanti da esperienze pregresse utili per la realizzazione dei propri progetti (previa coerenza delle operazioni, acquisizione consolidata delle capacità necessarie e fattibilità dei propri progetti).

Ognuno con la sua specifica strada

Non vi è uno schema che, ripetuto meccanicamente, ad algoritmo, porti un essere umano alla sua prestazione ottima. Ognuno deve trovare il proprio singolare metodo, adeguato alle proprie singolari caratteristiche e messo in relazione alla propria particolare vita. E questa ricerca del proprio metodo è in sé lo stimolo migliore che si possa imprimere al cervello, probabilmente il più faticoso, quello che impegna maggiormente e restituisce la miglior fluidità e complessità di elaborazione.

Se il vostro atleta preferito vi racconta come si è allenato per vincere i suoi titoli, e vi racconta anche i propri segreti, voi non vincerete gli stessi suoi titoli perché vi è una “complessità”. I principi dai quali partiamo, le caratteristiche dalle quali partiamo si ramificano in modo diverso per ognuno di noi in base anche agli eventi che attraversiamo nella nostra singolare vita. Le variabili sono così tante che pensare di poter ricondurre tutto ad un semplice copia incolla… è pura follia. Eppure la massa questo cerca e si illude di poter in qualche modo trovare la via dell’ottenimento senza fatica o a carico di terzi. E lo stress persistente aumenta e grava sull’organismo portando con sé una quantità inimmaginabile di problemi di salute che uno specialista può illustrarvi in modo serio, accurato, professionale.

I ruoli variegati dello Stress

Inaspettatamente, nella misura corretta, lo stress* risulta persino utile ed aumenta, ad esempio, la produttività sul lavoro così come migliora i personali risultati sportivi per il semplice richiamo al maggiore impegno. Nella misura corretta però. Tale condizione non deve perdurare. Fasi di stress si possono alternare a cicli di riposo e distrazione ma, se si eccede, se la condizione di stress è intensa e persistente, man mano che ci si avvicina al proprio limite si trasformerà in un trauma che danneggerà realmente strutture del cervello con la relativa perdita di funzionamento dello stesso. Ad esempio stress prolungati producono un eccesso di cortisolo (chiamato per l’appunto l’ormone dello stress) e si avrà un danno permanente all’ippocampo (in realtà agli ippocampi) rendendo impossibile la formazione di nuove memorie.
La produzione di cortisolo pertanto potenzia le prestazioni del cervello solo in una fase iniziale. Un buon equilibrio tra controllabilità e incontrollabilità delle situazioni alterna fasi di sicurezza a fasi di stress permettendo di sviluppare stretegie ottime per la risoluzione di problemi (a patto che nel cervello siano state inserite istruzioni valide su come imparare cose nuove, come verificare quanto si impara, come acquisire esperienza, come nutrire il dubbio**, come trasformare l’esperienza in ciò che occorre a seconda di precise condizioni che si verificano nella propria vita).

*Ovvero la reazione dell’organismo allo stressor, la causa della nostra alterazione.
**Le certezze infatti vi portano a ripetere inesorabilmente i medesimi errori e la frustrazione aumenta tanto più quanto più ci si aspettano alquanto improbabili cambiamenti di risultato.

Attenzione al Cortisolo

In risposta ad una improvvisa situazione di stress le ghiandole surrenali producono inizialmente adrenalina, successivamente cortisolo (entrambi ormoni considerati anche neurotrasmettitori). L’adrenalina, come è noto, aumenta il ritmo cardiaco, la pressione sanguigna e infonde una senso di surplus energetico fondamentale per tutte quelle situazioni del tipo “fight or flight response”, ovvero “combatti o fuggi”. In un secondo momento piccole dosi di cortisolo ci permettono di tornare alla normalità rimuovendo gli aspetti più spiacevoli dello stress. Questa regolazione è fondamentale per la sopravvivenza della specie animale (ma qualcosa di simile avviene anche nelle specie vegetali, cosa che vedremo al completamento della rubrica “I sensi delle piante”, vedi in basso i Link correlati).

Se però la situazione di stress è prolungata nel tempo si registra un aumento del tasso di invecchiamento cerebrale, danni agli ippocampi e, di conseguenza, alla capacità del soggetto di poter apprendere qualcosa di nuovo.
Il cortisolo, inoltre, è in grado di inibire il sistema immunitario (ci si ammala molto più facilmente a partire da un semplice raffreddore) ed interferire con il sistema endocrino (l’insieme di ghiandole del copro umano adibite alla produzione di ormoni).

Abbiate cura dei vostri Ippocampi

Gli ippocampi, che si trovano in una zona che possiamo immaginare come il nucleo dei rispettivi emisferi cerebrali, si relazionano con la memoria e con lo spazio. Per quanto concerne la memoria operano su quella di tipo episodico (esperienze personali) e su quella di tipo semantico (conoscenze di carattere generale) e sono impegnati nel consolidamento della memoria da breve a lungo termine. Un danno agli ippocampi (dovuto ad esempio ad un forte stress prolungato) può danneggiare la capacità di memorizzare nuove nozioni lasciando inalterate quelle già memorizzate. Non ha effetti invece sulla memoria implicita che permette di apprendere nuove abilità manuali (residenti in altre zone del cervello). I Neuroscienziati hanno dimostrato che forme di stress prolungato danneggiano gli ippocampi al punto da atrofizzarli almeno parzialmente.

Attenzione al Glutammato

Una situazione prolungata di stress produce quindi il relativo ormone, il cortisolo, esso a sua volta induce un’eccessiva produzione di un neurotrasmettitore eccitatorio detto glutammato da tenere bene sott’occhio. In dosi nella norma il glutammato contribuisce a regolare lo sviluppo cerebrale ed aiuta processi cognitivi di memoria e apprendimento. In dosi eccessive diviene tossico per i neuroni e porta stati d’ansia e depressione.
L’eccesso di glutammato porta inoltre conseguenze di tipo strutturale per il cervello quali l’atrofia dell’ippocampo e un’ipertrofia dell’amigdala con serie conseguenze di tipo comportamentale (difficoltà di attenzione e di memoria) e di tipo umorale (impulsività e difficoltà di controllo delle emozioni).

Continua…

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Cit. Cartesio, 1630, L’Uomo

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Rubrica: Apprendimento | Learning

Titolo o argomento: Efficientamento del tuo potenziale

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Nei precedenti articoli di questa rubrica abbiamo visto cosa si intende per Lifelong Learning, come nel mio piccolo l’ho improntato fin da bambino, che effetti ha avuto (quantomeno nel mio caso, senza quindi alimentare la pretesa di generalizzare una regola comune dato che non si tratta di un processo produttivo industriale ripetibile) e quale genere di risultati mi ha restituito la perseveranza “misurata”, “controllata”, effettuata con cognizione di causa (rivolgetevi sempre a medici specialistici per ogni esigenza al di fuori dall’ordinario impegno di studio). Ora si tratta di capire più nel dettaglio, ma sempre con un linguaggio facilmente accessibile, cosa avviene nel cervello, quando lo si stimola con un costante impegno di studio lungo tutta la vita, dal punto di vista dello sviluppo cognitivo e delle Neuroscienze.
Prima però è necessario introdurre il lettore a quei termini senza la comprensione dei quali il proseguimento nella lettura della rubrica sarebbe inutile. Tenterò di farlo nel modo più semplice possibile.

Il cervello è un vasto territorio che contiene e connette più luoghi specializzati

Immagina di guardare la Terra dal satellite e di divertirti ad utilizzare lo scroll per ingrandire la visuale dallo spazio all’atmosfera, passando poi alle terre emerse, i rilievi montuosi, le valli, i corsi d’acqua arrivando fino ai centri delle città, le varie tipologie di strade, i vari centri specializzati, dal centro urbano con tutte le sue fitte diramazioni fino alle zone commerciali, quelle industriali, le campagne, i poli di studio e di ricerca, le imponenti strutture della sanità e così via. Ebbene il cervello è così. Luoghi specializzati messi in comunicazione tra loro attraverso strade che portano una merce assai preziosa: le informazioni (grazie a stimoli chimici ed elettrici).

Più le strade sono vaste, collegate, ben manutentate, attrezzate e meglio viaggiano le informazioni con ampie possibilità di interscambio, di relazioni, di copertura del territorio (con esplorazione di ogni luogo potenzialmente accessibile). Alta efficienza, alta resa, alto ritorno sull’investimento cognitivo (alla stregua del ROE e del ROI), servizi migliori, più assortiti, notevole disponibilità, versatilità…

I neuroni sono come dei laboratori, delle scuole, delle officine. L’ufficio del direttore, del preside, del titolare è detto soma mentre dendriti, assoni e terminali presinaptici sono una sorta di vie del centro, autostrade e strade extraurbane di scorrimento. Le sinapsi rappresentano una giunzione articolata tra neuroni presinaptici (il potenziale di un’azione) e postsinaptici (l’esecuzione effettiva dell’azione), si tratta di un ambiente costituito da acqua nella quale sono immersi banchi di particolari molecole.
Queste (a dir poco) particolari  molecole dedicate dette neurotrasmettitori sono i corrieri, i vettori delle informazioni. Le informazioni nel nostro cervello, pertanto, viaggiano tramite messaggio chimico. I neurotrasmettitori* (quali ad esempio adrenalina, noradrenalina, ossitocina, dopamina, serotonina, norepinefrina, glutammato, vasopressina, testosterone, progesterone, cortisolo, endorfine, ecc.) sono contenuti in ampolle, dette vescicole, poste all’interno dei terminali presinaptici del neurone. La zona attraverso la quale ha luogo lo scambio di tali molecole è una zona di adesione posta tra i neuroni detta spazio sinaptico o fessura sinaptica. La richiesta di rilascio di neurotrasmettitori avviene mediante un segnale elettrico che corre lungo l’assone.

*Non tutti i neurotrasmettitori indicati tra parentesi sono propriamente dei neurotrasmettitori in senso stretto ma fungono da tali. Per semplicità di esposizione quindi li considereremo tali.

I neuroni (o cellule neuronali) sono cellule elettricamente eccitabili e messe in comunicazione da trilioni di connessioni che trasmettono impulsi di tipo elettrico mediamente alla ragguardevole velocità di 430 km/h, con picchi fino a 720 km/h, permettendo così la trasmissione dei segnali in una manciata di millisecondi (rendendoci in tal modo immediatamente reattivi ai pericoli con lo scopo di garantire la sopravvivenzza) al fine di rilasciare o inibire opportuni neurotrasmettitori.

La cellula neuronale è corredata di un sofisticato sistema di pompe di ioni di sodio e di potassio (che vedremo al completamento della rubrica “Macchine Molecolari Naturali”, vedi in basso i Link correlati). L’accesso o il deflusso di tali ioni permette alla membrana cellulare di mantenere un potenziale elettrico di riposo di circa -70mV (milli Volt). I neurotrasmettitori eccitatori aumentano il potenziale elettrico, gli inibitori lo riducono. Quando si superano circa i -30mV la cellula emette l’impulso elettrico che corre lungo l’assone al fine di ordinare il rilascio di altri neurotrasmettitori. Questo segnale può a sua volta essere convalidato o ignorato dagli altri neuroni a seconda di molteplici fattori (che leggerete, se vi va, sui testi specialistici 🙂 ).

Predisposizioni genetiche, stress, cattiva alimentazione, mancanza di attività fisica, influiscono enormemente sulle riserve di neurotrasmettitori compromettendo seriamente il funzionamento del cervello e l’equilibrio della persona.

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Neuron detailed anatomy illustrations. Neuron types, myelin sheath formation, organelles of the neuron body and synapse. Image’s Copyright: library.neura.edu.au

Lifelong Learning. L’apprendimento che non finisce mai: Imparare ad imparare (tra metodo e volontà)

Rubrica: Apprendimento | Learning

Titolo o argomento: Efficientamento del tuo potenziale

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Prendi il tuo tempo, costruisci il tuo metodo, trova le fonti giuste.
Non c’è fretta : )

Studiare non significa necessariamente soddisfare scadenze, esami, punteggi. Significa soprattutto sfamare la propria curiosità, la propria voglia di capire, di osservare come funzionano le “cose” in un modo più profondo. Significa conoscere le ramificazioni dei temi che ci appassionano e le loro relazioni con noi, con il nostro modo di vivere, con le nostre abilità, con il mondo circostante e l’Universo conosciuto. Tutto questo può esser fatto in modo piacevole anche senza scadenze rigorose, senza quei tempi ristretti che non permettono realmente di far proprio un contenuto o un assieme di contenuti da mettere in relazione tra loro.

Quello che è fondamentale è disporre degli ingredienti giusti: la vostra dedizione, la vostra caparbietà, l’acquisizione di un metodo di studio valido (leggere un libro sembra semplice, in realtà richiede un metodo di discernimento delle informazioni senza il quale si spreca solo un mucchio di tempo e si assimila ben poco), l’adozione di fonti più che valide (testi specialistici, testi impiegati in percorsi universitari dedicati, estratti di ricerche operate da professionisti accreditati, estratti di conferenze tenute da tali professionisti, tesi di laurea…).

A tal proposito il web dovrebbe essere bandito come fonte, almeno nei primi tempi quando si è alle prime armi con uno studio serio, per l’enorme mole di contenuti fuorvianti: è davvero difficile, a meno che non si abbia un’esperienza consolidata, distinguere contenuti di qualità da semplici insinuazioni, sensazionalismi, rapide conclusioni, contenuti privi di consistenza, contenuti con fini diversi quali il lucro o la spinta del lettore verso determinate direzioni dei mercati per convenienze sleali.

Imparare ad imparare

L’anticamera del Lifelong Learnign è racchiusa protetta da un intrecciato percorso ad ostacoli che ne libera l’accesso solo ai più caparbi. Il primo ostacolo, forse il più ostile: imparare ad imparare. A mio avviso solo una volta che si è trovato un valido metodo, e lo si è collaudato, adattato, affinato, è possibile passare ai quattro fondamenti dell’apprendimento che non finisce mai citati dal Rapporto Delors del 1996 (che prendeva il nome dal Presidente della Commissione Europea), ovvero imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a essere, imparare a vivere insieme.

Il problema di fondo è tuttavia rappresentato dalla necessità di una caratteristica dell’individuo che probabilmente deve essere innata, una naturale propensione che in realtà non è disponibile in tutte le persone o forse giace disattivata al permanente stato embrionale: la volontà di perseverare. Quanti traggono un gusto dall’impegno, dalla fatica, dalla caparbietà quando si trovano davanti a qualcosa che non conoscono o davanti ad un problema? Il Lifelong Learning, lo studio che si estende e sviluppa lungo l’intera vita, deve essere un piacere, non una costrizione né tantomeno un suggerimento martellante che risulti mortificante per chi non è affine ad un continuo impegno mentale. Non dovrebbe pertanto diventare una malattia sociale né un’implementazione stimolata da farmaci a mo’ di “Limitless” (Neil Burger, USA, 2011).

Ho personalmente osservato negli ultimi dieci anni che avviare al Lifelong Learning persone che non nutrono un particolare interesse verso il continuo apprendimento non produce gli stessi risultati di chi lo applica per propria natura, per propria scelta, spesso persino inconsapevolmente. Nei soggetti invitati al Lifelong Learning, infatti, pur manifestandosi effettivamente dei piccoli ma interessanti miglioramenti rispetto al proprio passato, non si genera la stessa plasticità cerebrale di chi invece lo desidera a fondo, liberamente e vi incanala con gusto, passione, divertimento, emozione, persino sofferenza, la propria fertile, innata volontà. L’attività neuronale, sinaptica e assonica dei due modelli di individui è molto differente e, a pari percorso di apprendimento, chi impiega la volontà innata trae benefici molto maggiori misurati nei termini di ciò che si va a realizzare quotidianamente ad esempio in campo professionale, sportivo o artistico.

Nuove sfide, inoltre, mettono in guardia e stimolano la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress, che risulta persino produttiva se la sollecitazione stressante, lo stressor, ha un’intensità limitata all’interno di un periodo di tempo definito. In caso contrario i danni cerebrali potrebbero essere irreversibili tanto più intensa e continuativa è stata l’attività stressante.

Ponendo due bambini davanti ad uno strumento musicale, quello che nutre una spontanea passione, imparerà in poche ore abilità che il suo compagno non riuscirà comunque a far totalmente proprie in settimane. A tal proposito, a difesa dei bambini, le Neuroscienze hanno dimostrato che si apprendono di più, e si fissano meglio nella mente, nozioni ed esercizi ad esempio musicali, dieci minuti al giorno in modo leggero e costante anziché ore e ore delle stesse lezioni una volta a settimana. Trattasi di carico distribuito. Immagina una mensola, immagina di porre lungo tutta la sua superficie i volumi di una consistente enciclopedia (come siamo soliti osservare); immagina ora di utilizzare la stessa mensola ponendo tutti i volumi impilati in un unico punto. Nel primo caso avrai un carico distribuito che solleciterà la tavola lungo una linea di flessione dolce non distruttiva, nel secondo caso avrai un carico concentrato che, seppur con lo stesso carico, solleciterà intensamente un solo punto arrivando a tagliare la tavola in due con il collasso della struttura.

Tra volontà e metodo

Vi sono soggetti che non hanno volontà (o la cui volontà è smontata e devono trovare prima un metodo per ricostruirla) e vi sono soggetti che hanno volontà. Anche disponendo di volontà, magari spinta dalla curiosità, dal desiderio di mettersi alla prova, da un sogno, è facile che non si arrivi ad un risultato concreto di tipo accettabile perché la volontà in sé è condizione necessaria ma non sufficiente per realizzare qualcosa di straordinario nella propria vita. Ci vuole metodo. Il metodo è l’utensile fondamentale da installare nella propria volontà per completare una delle parti fondamentali di un macchinario complesso mosso da un’intelligenza completa, audace, equilibrata, allenata (e non solo…).

Per straordinario non intendo diventare astronauta, mi riferisco più alla risoluzione intelligente di un problema quotidiano che affligge. E’ straordinario chi trova un modo di comunicare con una persona con cui prima alimentava un conflitto (deleterio a lavoro come nella vita privata). E’ straordinario rifar decollare un’attività con ottime idee che siano oneste. E’ straordiario trovare un modo legale per stravolgere un sistema economico obsoleto. E’ straordinario inventare nuove cose utili e non banali superfluità smuovimercato che traballano fino a che i consumatori non se ne accorgono. E’ straordinario risolvere un problema da soli quando gli organi competenti brancolano nel buio o sono giustificabilmente intasati, bloccati in un pensiero sorpassato. Straordinarie sono le cose che un essere umano sconosciuto, che si applica fuori dalle convenzioni, fa ogni giorno senza che la massa ne prenda mai atto. Ci sono tante persone incredibili, la cui vita è così fertile che se passassero il loro tempo sui social, o attraverso i mezzi che i non addetti al settore chiamano “tecnologia”, non potrebbero più occuparsi del “raccolto”. E di cosa nutrirai la tua mente? Di un Like? Di un display touch? Di una app? O di quello che sai fare, risolvere, offrire?

Un esempio per sondare il territorio

Una professoressa di lettere che tanto criticavamo tra compagni di classe ai tempi delle scuole medie si è rivelata preziosa, almeno per me, quando poi son cresciuto. Perché? Perché ci dava spesso esercizi di lettura di noiosissimi testi e voleva che dessimo un titolo ad ogni pagina e scandissimo il testo in micro informazioni e macro informazioni. Voleva inoltre che evitassimo di pasticciare le pagine con colorati evidenziatori con i quali, puntualmente, finivamo con il mettere in risalto praticamente tutto.

Il titolo ad ogni pagina occorreva ad inquadrare se avevamo compreso il nucleo del discorso o se ci eravamo persi tra dettagli meno significativi. Cosa ti vuol comunicare l’autore? Qual è il punto che vuole raggiungere? Qual è il succo del discorso? Come si mette in relazione con i contenuti di cui ti ha parlato prima? Come puoi metterlo in relazione con le cose che conosci già? Ci sono connessioni interessanti con i riferimenti bibliografici?

Le micro e le macro informazioni erano dei brevi testi descrittivi “telegrafati” senza articoli né preposizioni. Le prime erano fondamentali per mettere in evidenza ai bordi della pagina, a matita*, una cascata di informazioni principali dettagliate (ma senza esagerare altrimenti la pagina diventava illegibile e confusionaria). Le seconde erano più rade e determinavano un cambio di tema lungo un capitolo (oggi forse meno necessarie in quanto vanno scomparendo i libri con lunghi capitoli di 60 pagine ai quali si preferiscono capitoli frammentati e già titolati al fine di spezzare la lettura in modo ordinato e sicuramente più agevole).

*Magari con una HB-2 temperata dolcemente… i libri han bisogno di cura : )

Questo lavoro nel trovare titoli, micro e macro informazioni da riportare in maniera misurata e ordinata lungo le pagine permetteva di ottenere due grandi vantaggi. Il primo: l’apprendimento; senza accorgercene assimilavamo il contenuto in modo più profondo in quanto dovevamo elaborarlo per sintetizzarlo. Inoltre dovevamo cogliere necessariamente i reali aspetti salienti, i reali oggetti della comunicazione proposti dell’autore. Il secondo: il recupero delle informazioni a posteriori; con un libro ordinato e scandito a matita si ritrovavamo agevolmente contenuti salienti che dovevamo poi inserire in un tema o un saggio o utilizzare dopo molto tempo per un’interrogazione o un esame.

Ma allora perché il metodo non funzionava a scuola? Perché non gliene fregava nulla a nessuno degli autori minimalisti polacchi e dei loro tetri pomeriggi piovosi che facevano da cornice a drammi uggiosi. Così come, parlando seriamente, bambini di 11 anni non potevano comprendere la gravità e le implicazioni di temi profondi quali l’olocausto che, invece, andavano trattati con il giusto approfondimento ad un’età in cui realmente si possono comprendere i motivi per i quali un popolo non può e non deve più accettare simili scempi disumani in nessuna forma.

Bisogna cogliere nel segno. E’ necessario approdare a temi cari ai bambini per fornirgli in modo efficace i primi metodi di apprendimento consolidati. Altrimenti non è poi possibile passare a quelli successivi più sviluppati, articolati e prolifici che, generalmente, ogni persona che ha piacere di studiare, trasforma nella versione più aderente a sé.

Continua…

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Cit. alta, Nelson Mandela

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Rubrica: Apprendimento | Learning

Titolo o argomento: Efficientamento del tuo potenziale

L’apprendimento che non finisce mai

Alcuni anni fa mi davano quasi del matto. Diverse persone a me vicine, tra cui anche professori che hanno attraversato la mia vita di passaggio o altri con i quali ho mantenuto uno splendido rapporto costruttivo per anni, stentavano a concepire il mio metodo di studio. Stentavano a concepire il mio perseverare nel voler studiare e proseguire l’Università (con il progetto, un sogno possibile, di una Laurea e poi una seconda e una terza…) nonostante la crisi economica globale avesse messo in ginocchio l’economia e con essa anche l’attività dei miei genitori. Sostenevano che un ragazzo normale, se non può studiare perché trattenuto da altro, ad esempio da motivi di forza maggiore quali il lavoro, abbandona gli studi, ci mette una croce. Io no.

Si fosse trattato solo del lavoro… in realtà l’impegno a cui andavo in contro era molto maggiore del lavoro in sé. L’ambizione nell’innovazione dei metodi lavorativi e l’impegno nel recupero delle configurazioni aziendali precedentemente ignorate dai predecessori per l’impiego di modelli organizzativi obsoleti, hanno rappresentato uno sforzo costante, intenso, mastodontico, reso dolce dal piacere di studiare e di mettere in pratica, quindi di provare e verificare meticolosamente gli esiti.

Personalmente non credo al modello di un segmento temporale predefinito per gli studi, uno per il matrimonio, uno per il mutuo, uno per la monovolume (ora suv) con i seggiolini dei bimbi (perfettamente installabili anche sull’auto che avevi prima), uno per dedicarsi all’omologazione (cercando di essere e fare quel che sono e fanno gli altri) e, nel frattempo, il lavoro a debito perpetuo rincorrendo una vita confezionata, precotta, preimpostata, che non è sostenibile dal cervello e, in cascata, da tutto il resto.

Esistono delle priorità, è vero. Ma le priorità non si contendono tra studio e lavoro, bensì tra quel che siamo, desideriamo essere, desideriamo diventare capaci di fare e quel che sono e fanno le masse. Le priorità si contendono tra il timore di perdere la possibilità di realizzare sogni perfettamente raggiungibili (con le capacità che dobbiamo oggettivamente riconoscere di avere o meno) ed il timore di essere giudicati diversi, inadeguati, non conformati, fuori omologazione rispetto ai più. Le priorità all’ennesima potenza o, più correttamente, le priorità esponenziali (nella forma priorità elevato alla priorità) sono l’espressione di quel che in una vita conta realmente: l’impegno nel fare quel che si sente di poter realmente fare. Perché lo studio è vita e il lavoro è vita, entrambi nobilitano l’Uomo e tra i due non può esserci prevalenza.

Dalla mattina al pomeriggio

Così mi accorgevo che la mattina studiavo splendidi Teoremi di Matematica, intriganti leggi della Fisica descritte a loro volta da una Matematica che, spesso, in forma semplice ed elegante, si ripeteva inaspettatamente allo stesso modo capitolo dopo capitolo su diversi argomenti (la radice era sempre la medesima anche se non lo si notava subito) e ci vedevo il pomeriggio soluzioni per i miei progetti, per i miei problemi, per il mio quotidiano, per i miei desideri, per la mia soddisfazione. Una lingua come la Matematica, che appariva a me inizialmente incomprensibile, rivelava tutta la sua logicità al mio perseverare nel suo studio, al mio ostinato perseverare nel suo studio. Perché difficile è bello, difficile è affascinante, difficile è scoperta, difficile è spettacolare, difficile è stimolante, difficile è soddisfazione. Un mondo dentro ad un mondo che contiene infiniti altri mondi. Tutto chiaro in bella vista e allo stesso tempo invisibile ai più che ci passavano davanti in ogni momento senza rendersi nemmeno lontanamente conto, incredibile. Perché mi affascinavano eleganze come l’Identità di Eulero, la Morfogenesi di Turing, i Frattali di Mandelbrot, il Paesaggio di Riemann, la Relatività di Einstein? Perché una volta sostenuto un notevole sforzo per avere una visione più chiara di un concetto matematico, fisico, chimico, storico, poi risolvevo più agevolmente i problemi della mia vita come se fossi d’un tratto più allenato? Perché quel desiderio non si saziava mai e concetto dopo concetto desideravo riandare a lezione, capire, non imparare a memoria ma capire, rielaborare, applicare? E come mai i miei progetti, sempre più complicati diventavano realtà?

Studiare è la mia passione, fare ricerca è la mia vita. In certi periodi non riesco a stare per più di qualche ora lontano da libri, calcoli, teorie scientifiche, prove di laboratorio, analisi, ragionamenti, logiche, esperimenti, costruzioni pratiche, prove dal vivo, verifiche nella vita reale, progetti, rinnovamenti, cambiamenti, innovazioni, risoluzione di problemi. In certi altri periodi, invece, lunghe pause tentano di mettere ordine in un fiume turbinante di concetti mentre mi occupo di tutt’altro durante un deaffaticamento della mente che impegna la struttura del mio corpo (nel mio caso una versione a me aderente del Triathlon).

Così ho dedicato gli anni che ho dedicato a risolvere per la mia famiglia e me i problemi gravissimi legati alla crisi economica globale, ai cambiamenti sociali, a quel che c’è dietro, a quel che ci sarà dopo, e poi ho ripreso a ritmi sostenibili i miei appassionanti studi. Nel frattempo il lavoro, che si stava assopendo del tutto a cavallo del 2010, è aumentato esponenzialmente in seguito alle nostre (per me) naturali innovazioni. Un mio professore, seppur bonariamente, sorrise di tenerezza come un padre quando, in principio, gli raccontai parte dei miei piani. Riteneva il mio progetto impossibile. Non mi buttai giù e, solo pochi anni dopo, dimostrai che le mie teorie erano e sono tutt’ora corrette.

Qualcosa è cambiato

Non solo l’attività di famiglia si salvò, ma cambiò radicalmente, crebbe esponenzialmente passando dall’offerta di una ventina di prodotti basilari ad oltre duemila decisamente più tecnici, incrementando profondamente la necessità di specializzazione, il numero di servizi altrettanto specializzati, studiando nuove teorie di organizzazione aziendale, nuovi modi di fare impresa, allenando la capacità di risolvere problemi via via più complessi e apparentemente insormontabili, aumentando il livello di istruzione, facendo sacrifici immani da sentir male alle ossa come in una metaforica battaglia a mani nude, abbandonando vecchie teorie di indebitamento e finanziamento, abbandonando vecchi metodi d’ufficio, d’amministrazione, di burocrazia, di rapporto claudicante con determinati fornitori, risolvendo una quantità considerevole di problemi da sé senza attendere l’intervento di altri (che ci avrebbero portati in rovina per latenza o pur immaginabile indifferenza), utilizzando nuove logiche ricavate prettamente dalla Matematica e dalla Fisica per ciò di cui avevamo bisogno (quest’ultimo punto quasi impossibile da capire se non traducendo da soli la teoria matematica e fisica in pura pratica facendo leva sulle ramificazioni della filosofia).

Nel mezzo ho frequentato i corsi, mi sono tenuto allenato, ho studiato, ristudiato e ristudiato ancora una volta tutto il possibile e di più. Ho allargato il bacino di materie di mio interesse, le ho interconnesse, le ho applicate, le ho messe in pausa e poi ristudiate da capo. Ho solleticato il cervello e poi… e poi l’ho sollecitato di nuovo, ho studiato le sue risposte alle diverse tipologie di stressor e a diverse intensità di stress risultante, alle diverse difficoltà dei problemi, degli imprevisti e, persino, alle ore di sonno perse volontariamente per periodi di tempo definiti e controllati al fine di riuscire in attività complesse. Follia completa. Il cervello, elastico e frizzante per propria natura, iniziava ad andare come un treno a vapore dotato di consistente Quantità di moto* ed i problemi che prima apparivano come tenaci superleghe indeformabili venivano risolti e abbattuti uno a uno come fossero di fragile gesso.

*Immaginate un grosso escavatore da cava, ad esempio il CAT 797F, la sua massa a vuoto si attesta attorno alle 220 tonnellate, ovvero 220.000 kg. Può raggiungere quasi 70 km/h ovvero circa 19,5 m/s. Il prodotto tra la sua massa e la sua velocità ci restituiscono una grandezza vettoriale, chiamata Quantità di moto, la cui unità di misura è espressa in “kg per m/s”, in questo caso: 4.290.000 kg · m/s.
Immaginate ora un ciclista in volata che si muove sempre a 70 km/h (19,5 m/s) ma con una massa di circa 70kg compresi i 7kg della bici. La sua Quantità di moto, a pari velocità con il CAT 797F, è di 70 kg · 19,5 m/s, ovvero 1.365 kg · m/s (3143 volte minore del CAT).
Percepiamo inconsciamente la Quantità di moto quando, ad esempio, nell’osservare un grosso escavatore (anche di tipo commerciale presso un cantiere edile/civile lungo una strada) e un ciclista che si muovono lungo la medesima strada alla medesima velocità, il primo desta la nostra attenzione impressionandoci ed il secondo ci risulta trascurabile, ordinario, abituale.
Un cervello allenato, strutturato, denso di metodi, contenuti ed esperienze maturate, può mantenere la medesima velocità che aveva in precedenza ma aumentare notevolmente l’impatto che esercita sull’ambiente circostante quando esprime il suo potenziale.
Tratteremo successivamente in appositi articoli cosa accade e perché quando invece il cervello aumenta la propria velocità, caratteristica legata ad altro tipo di allenamento, ad altro tipo di prestazione desiderata, ad altro modello di intelligenza. La riflessività, infatti, se razionale, non è assolutamente una caratteristica negativa, tutt’altro.

Oggi lo chiamano Lifelong Learning

Una volta mi prendevano per matto, oggi lo chiamano Lifelong Learning e gli scienziati hanno dimostrato che la continua sollecitazione del cervello lo rende più “elastico” (adattabile, flessibile), “plastico” (malleabile e ristrutturabile), “potente” (prestante, con crescente capacità di acquisizione, calcolo e problem solving, variabile da persona a persona e delimitata sempre entro un proprio massimo fisico) per tutta la vita (quindi non solo in giovane età). Un cervello positivamente stimolato lungo la vita è un cervello frizzante.

C’è sempre qualcosa che, quando lo adotto in anticipo, porta chi osserva a darmi del matto. Come ad esempio il “Lifelong Learning” al quale non ho mai dato un nome ma che io attuavo come “metodo di autorisoluzione di variegate tipologie di problemi”; come le attuali “competenze trasversali” che io chiamavo personalmente “l’incrocio di temi apparentemente distanti tra loro”, come gli “edifici nZeb e Zero Energia” che io chiamavo volgarmente “case autonome”, e una moltitudine di cambiamenti interessanti che ho sovente anticipato dopo aver superato il gommoso muro beffardo delle solite critiche.

Sono solito sostenere: “Se non fai qualcosa che per te è importante solo perché gli altri non lo capiscono e non ti appoggiano, amaro risulterà quel che resta della vita”.

Strade interessanti da esplorare

Come di consueto, ogni volta, son passati gli anni e si sono accorti anche loro** che non avevo tutti i torti o, quantomeno, le strade da me proposte potevano essere interessanti da esplorare. Anche solo una rapida ricognizione sui miei passaggi sarebbe stata utile a intravedere eventuali attrazioni di un ambiente nuovo. Tuttavia pare sia necessaria una certa predisposizione della mente per attivare la virtù del dubbio, vale a dire ciò che predispone a coltivare gli approfondimenti nella vita, l’esperienza, la saggezza, la cultura non stereotipata. In più occasioni hanno attribuito un nome, generalmente inglese***, a qualcosa che facevo già da tempo, e prima respingevano, oppure a qualcosa a cui ero arrivato anche io, inconsapevole che già esistesse, e loro ignoravano totalmente.

**Chi sono “loro”? Loro sono i portavoce di parole mai comprese
***Segno di debolezza

I portavoce di parole mai comprese

Intravisto il potenziale di un’idea (generalmente più la sua risonanza in un mare di parole) si son fatti portavoce in apposite conferenze di cose che non conoscevano realmente (o sulle quali non avevano maturato l’esperienza sufficiente per parlarne come degli innovatori) e hanno affermato che la tal teoria fosse una teoria interessante da tenere “oggi” in considerazione per non restare indietro. Ma se ne sono accorti tardi, non ne conoscono le funzioni, i comportamenti, le reazioni… un po’ come un giornalista sportivo che parla abitualmente di F1 ma non ne ha mai guidata una e non si rende conto realmente di cosa significhi accelerare (anche intensamente) per sfruttare un’aerodinamica raffinata, sconosciuta, anti-intuitiva di una Fisica non quotidiana (il carico aerodinamico) quando al contrario la naturale concezione di un ordinario guidatore suggerirebbe di frenare…

Così se nel 2010 ero “matto”, oggi sono semplicemente un soggetto che adotta il “Lifelong Learning” da sempre (ma non solo). Ma che importanza ha in fondo? Quando si è presi tutto il tempo da quel che si ama fare non si ha tempo per elucubrare, ruminare, su simili discorsi.
Tuttavia, se tra quel che si ama fare c’è lo “scrivere”, sembra si generi una reiterazione assoggettabile alla matematica frattale che, a sorpresa, complica le cose tanto quanto le rende affascinanti : )
Così, tutt’al più, se ne può parlare in un leggero articolo per un poliedrico Blog stimolante come questo o per qualche pagina di un futuro Libro digestivo che possano esser utili al lettore in qualità di generatori di stuzzicanti spunti di riflessione.

Mi piace pensare: “Non si ha tempo per parlare di certe cose quando si è presi da ciò che si ama fare. Tuttavia se tra ciò che si ama fare c’è il parlare di certe cose…”.

Continua…

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