Rubrica: Apprendimento | Learning
Titolo o argomento: Efficientamento del tuo potenziale
L’apprendimento che non finisce mai
Alcuni anni fa mi davano quasi del matto. Diverse persone a me vicine, tra cui anche professori che hanno attraversato la mia vita di passaggio o altri con i quali ho mantenuto uno splendido rapporto costruttivo per anni, stentavano a concepire il mio metodo di studio. Stentavano a concepire il mio perseverare nel voler studiare e proseguire l’Università (con il progetto, un sogno possibile, di una Laurea e poi una seconda e una terza…) nonostante la crisi economica globale avesse messo in ginocchio l’economia e con essa anche l’attività dei miei genitori. Sostenevano che un ragazzo normale, se non può studiare perché trattenuto da altro, ad esempio da motivi di forza maggiore quali il lavoro, abbandona gli studi, ci mette una croce. Io no.
Si fosse trattato solo del lavoro… in realtà l’impegno a cui andavo in contro era molto maggiore del lavoro in sé. L’ambizione nell’innovazione dei metodi lavorativi e l’impegno nel recupero delle configurazioni aziendali precedentemente ignorate dai predecessori per l’impiego di modelli organizzativi obsoleti, hanno rappresentato uno sforzo costante, intenso, mastodontico, reso dolce dal piacere di studiare e di mettere in pratica, quindi di provare e verificare meticolosamente gli esiti.
Personalmente non credo al modello di un segmento temporale predefinito per gli studi, uno per il matrimonio, uno per il mutuo, uno per la monovolume (ora suv) con i seggiolini dei bimbi (perfettamente installabili anche sull’auto che avevi prima), uno per dedicarsi all’omologazione (cercando di essere e fare quel che sono e fanno gli altri) e, nel frattempo, il lavoro a debito perpetuo rincorrendo una vita confezionata, precotta, preimpostata, che non è sostenibile dal cervello e, in cascata, da tutto il resto.
Esistono delle priorità, è vero. Ma le priorità non si contendono tra studio e lavoro, bensì tra quel che siamo, desideriamo essere, desideriamo diventare capaci di fare e quel che sono e fanno le masse. Le priorità si contendono tra il timore di perdere la possibilità di realizzare sogni perfettamente raggiungibili (con le capacità che dobbiamo oggettivamente riconoscere di avere o meno) ed il timore di essere giudicati diversi, inadeguati, non conformati, fuori omologazione rispetto ai più. Le priorità all’ennesima potenza o, più correttamente, le priorità esponenziali (nella forma priorità elevato alla priorità) sono l’espressione di quel che in una vita conta realmente: l’impegno nel fare quel che si sente di poter realmente fare. Perché lo studio è vita e il lavoro è vita, entrambi nobilitano l’Uomo e tra i due non può esserci prevalenza.
Dalla mattina al pomeriggio
Così mi accorgevo che la mattina studiavo splendidi Teoremi di Matematica, intriganti leggi della Fisica descritte a loro volta da una Matematica che, spesso, in forma semplice ed elegante, si ripeteva inaspettatamente allo stesso modo capitolo dopo capitolo su diversi argomenti (la radice era sempre la medesima anche se non lo si notava subito) e ci vedevo il pomeriggio soluzioni per i miei progetti, per i miei problemi, per il mio quotidiano, per i miei desideri, per la mia soddisfazione. Una lingua come la Matematica, che appariva a me inizialmente incomprensibile, rivelava tutta la sua logicità al mio perseverare nel suo studio, al mio ostinato perseverare nel suo studio. Perché difficile è bello, difficile è affascinante, difficile è scoperta, difficile è spettacolare, difficile è stimolante, difficile è soddisfazione. Un mondo dentro ad un mondo che contiene infiniti altri mondi. Tutto chiaro in bella vista e allo stesso tempo invisibile ai più che ci passavano davanti in ogni momento senza rendersi nemmeno lontanamente conto, incredibile. Perché mi affascinavano eleganze come l’Identità di Eulero, la Morfogenesi di Turing, i Frattali di Mandelbrot, il Paesaggio di Riemann, la Relatività di Einstein? Perché una volta sostenuto un notevole sforzo per avere una visione più chiara di un concetto matematico, fisico, chimico, storico, poi risolvevo più agevolmente i problemi della mia vita come se fossi d’un tratto più allenato? Perché quel desiderio non si saziava mai e concetto dopo concetto desideravo riandare a lezione, capire, non imparare a memoria ma capire, rielaborare, applicare? E come mai i miei progetti, sempre più complicati diventavano realtà?
Studiare è la mia passione, fare ricerca è la mia vita. In certi periodi non riesco a stare per più di qualche ora lontano da libri, calcoli, teorie scientifiche, prove di laboratorio, analisi, ragionamenti, logiche, esperimenti, costruzioni pratiche, prove dal vivo, verifiche nella vita reale, progetti, rinnovamenti, cambiamenti, innovazioni, risoluzione di problemi. In certi altri periodi, invece, lunghe pause tentano di mettere ordine in un fiume turbinante di concetti mentre mi occupo di tutt’altro durante un deaffaticamento della mente che impegna la struttura del mio corpo (nel mio caso una versione a me aderente del Triathlon).
Così ho dedicato gli anni che ho dedicato a risolvere per la mia famiglia e me i problemi gravissimi legati alla crisi economica globale, ai cambiamenti sociali, a quel che c’è dietro, a quel che ci sarà dopo, e poi ho ripreso a ritmi sostenibili i miei appassionanti studi. Nel frattempo il lavoro, che si stava assopendo del tutto a cavallo del 2010, è aumentato esponenzialmente in seguito alle nostre (per me) naturali innovazioni. Un mio professore, seppur bonariamente, sorrise di tenerezza come un padre quando, in principio, gli raccontai parte dei miei piani. Riteneva il mio progetto impossibile. Non mi buttai giù e, solo pochi anni dopo, dimostrai che le mie teorie erano e sono tutt’ora corrette.
Qualcosa è cambiato
Non solo l’attività di famiglia si salvò, ma cambiò radicalmente, crebbe esponenzialmente passando dall’offerta di una ventina di prodotti basilari ad oltre duemila decisamente più tecnici, incrementando profondamente la necessità di specializzazione, il numero di servizi altrettanto specializzati, studiando nuove teorie di organizzazione aziendale, nuovi modi di fare impresa, allenando la capacità di risolvere problemi via via più complessi e apparentemente insormontabili, aumentando il livello di istruzione, facendo sacrifici immani da sentir male alle ossa come in una metaforica battaglia a mani nude, abbandonando vecchie teorie di indebitamento e finanziamento, abbandonando vecchi metodi d’ufficio, d’amministrazione, di burocrazia, di rapporto claudicante con determinati fornitori, risolvendo una quantità considerevole di problemi da sé senza attendere l’intervento di altri (che ci avrebbero portati in rovina per latenza o pur immaginabile indifferenza), utilizzando nuove logiche ricavate prettamente dalla Matematica e dalla Fisica per ciò di cui avevamo bisogno (quest’ultimo punto quasi impossibile da capire se non traducendo da soli la teoria matematica e fisica in pura pratica facendo leva sulle ramificazioni della filosofia).
Nel mezzo ho frequentato i corsi, mi sono tenuto allenato, ho studiato, ristudiato e ristudiato ancora una volta tutto il possibile e di più. Ho allargato il bacino di materie di mio interesse, le ho interconnesse, le ho applicate, le ho messe in pausa e poi ristudiate da capo. Ho solleticato il cervello e poi… e poi l’ho sollecitato di nuovo, ho studiato le sue risposte alle diverse tipologie di stressor e a diverse intensità di stress risultante, alle diverse difficoltà dei problemi, degli imprevisti e, persino, alle ore di sonno perse volontariamente per periodi di tempo definiti e controllati al fine di riuscire in attività complesse. Follia completa. Il cervello, elastico e frizzante per propria natura, iniziava ad andare come un treno a vapore dotato di consistente Quantità di moto* ed i problemi che prima apparivano come tenaci superleghe indeformabili venivano risolti e abbattuti uno a uno come fossero di fragile gesso.
*Immaginate un grosso escavatore da cava, ad esempio il CAT 797F, la sua massa a vuoto si attesta attorno alle 220 tonnellate, ovvero 220.000 kg. Può raggiungere quasi 70 km/h ovvero circa 19,5 m/s. Il prodotto tra la sua massa e la sua velocità ci restituiscono una grandezza vettoriale, chiamata Quantità di moto, la cui unità di misura è espressa in “kg per m/s”, in questo caso: 4.290.000 kg · m/s.
Immaginate ora un ciclista in volata che si muove sempre a 70 km/h (19,5 m/s) ma con una massa di circa 70kg compresi i 7kg della bici. La sua Quantità di moto, a pari velocità con il CAT 797F, è di 70 kg · 19,5 m/s, ovvero 1.365 kg · m/s (3143 volte minore del CAT).
Percepiamo inconsciamente la Quantità di moto quando, ad esempio, nell’osservare un grosso escavatore (anche di tipo commerciale presso un cantiere edile/civile lungo una strada) e un ciclista che si muovono lungo la medesima strada alla medesima velocità, il primo desta la nostra attenzione impressionandoci ed il secondo ci risulta trascurabile, ordinario, abituale.
Un cervello allenato, strutturato, denso di metodi, contenuti ed esperienze maturate, può mantenere la medesima velocità che aveva in precedenza ma aumentare notevolmente l’impatto che esercita sull’ambiente circostante quando esprime il suo potenziale.
Tratteremo successivamente in appositi articoli cosa accade e perché quando invece il cervello aumenta la propria velocità, caratteristica legata ad altro tipo di allenamento, ad altro tipo di prestazione desiderata, ad altro modello di intelligenza. La riflessività, infatti, se razionale, non è assolutamente una caratteristica negativa, tutt’altro.
Oggi lo chiamano Lifelong Learning
Una volta mi prendevano per matto, oggi lo chiamano Lifelong Learning e gli scienziati hanno dimostrato che la continua sollecitazione del cervello lo rende più “elastico” (adattabile, flessibile), “plastico” (malleabile e ristrutturabile), “potente” (prestante, con crescente capacità di acquisizione, calcolo e problem solving, variabile da persona a persona e delimitata sempre entro un proprio massimo fisico) per tutta la vita (quindi non solo in giovane età). Un cervello positivamente stimolato lungo la vita è un cervello frizzante.
C’è sempre qualcosa che, quando lo adotto in anticipo, porta chi osserva a darmi del matto. Come ad esempio il “Lifelong Learning” al quale non ho mai dato un nome ma che io attuavo come “metodo di autorisoluzione di variegate tipologie di problemi”; come le attuali “competenze trasversali” che io chiamavo personalmente “l’incrocio di temi apparentemente distanti tra loro”, come gli “edifici nZeb e Zero Energia” che io chiamavo volgarmente “case autonome”, e una moltitudine di cambiamenti interessanti che ho sovente anticipato dopo aver superato il gommoso muro beffardo delle solite critiche.
Sono solito sostenere: “Se non fai qualcosa che per te è importante solo perché gli altri non lo capiscono e non ti appoggiano, amaro risulterà quel che resta della vita”.
Strade interessanti da esplorare
Come di consueto, ogni volta, son passati gli anni e si sono accorti anche loro** che non avevo tutti i torti o, quantomeno, le strade da me proposte potevano essere interessanti da esplorare. Anche solo una rapida ricognizione sui miei passaggi sarebbe stata utile a intravedere eventuali attrazioni di un ambiente nuovo. Tuttavia pare sia necessaria una certa predisposizione della mente per attivare la virtù del dubbio, vale a dire ciò che predispone a coltivare gli approfondimenti nella vita, l’esperienza, la saggezza, la cultura non stereotipata. In più occasioni hanno attribuito un nome, generalmente inglese***, a qualcosa che facevo già da tempo, e prima respingevano, oppure a qualcosa a cui ero arrivato anche io, inconsapevole che già esistesse, e loro ignoravano totalmente.
**Chi sono “loro”? Loro sono i portavoce di parole mai comprese
***Segno di debolezza
I portavoce di parole mai comprese
Intravisto il potenziale di un’idea (generalmente più la sua risonanza in un mare di parole) si son fatti portavoce in apposite conferenze di cose che non conoscevano realmente (o sulle quali non avevano maturato l’esperienza sufficiente per parlarne come degli innovatori) e hanno affermato che la tal teoria fosse una teoria interessante da tenere “oggi” in considerazione per non restare indietro. Ma se ne sono accorti tardi, non ne conoscono le funzioni, i comportamenti, le reazioni… un po’ come un giornalista sportivo che parla abitualmente di F1 ma non ne ha mai guidata una e non si rende conto realmente di cosa significhi accelerare (anche intensamente) per sfruttare un’aerodinamica raffinata, sconosciuta, anti-intuitiva di una Fisica non quotidiana (il carico aerodinamico) quando al contrario la naturale concezione di un ordinario guidatore suggerirebbe di frenare…
Così se nel 2010 ero “matto”, oggi sono semplicemente un soggetto che adotta il “Lifelong Learning” da sempre (ma non solo). Ma che importanza ha in fondo? Quando si è presi tutto il tempo da quel che si ama fare non si ha tempo per elucubrare, ruminare, su simili discorsi.
Tuttavia, se tra quel che si ama fare c’è lo “scrivere”, sembra si generi una reiterazione assoggettabile alla matematica frattale che, a sorpresa, complica le cose tanto quanto le rende affascinanti : )
Così, tutt’al più, se ne può parlare in un leggero articolo per un poliedrico Blog stimolante come questo o per qualche pagina di un futuro Libro digestivo che possano esser utili al lettore in qualità di generatori di stuzzicanti spunti di riflessione.
Mi piace pensare: “Non si ha tempo per parlare di certe cose quando si è presi da ciò che si ama fare. Tuttavia se tra ciò che si ama fare c’è il parlare di certe cose…”.
Continua…
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