Lifelong Learning. L’apprendimento che non finisce mai: Il cervello è duale

Rubrica: Apprendimento | Learning

Titolo o argomento: Efficientamento del tuo potenziale

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Il cervello è duale

Potremmo dire che il cervello ha un comportamento duale nel rapporto con lo stressor. Esso somatizza lo stress (con le conseguenti ripercussioni sulla sua struttura e sugli organi tutti dell’organismo) ma, allo stesso tempo, è in grado di selezionare cosa lo stressa e cosa no. Paradossalmente, quindi, è il cervello che decide cosa lo distrugge.

Un lavoro che per me potrebbe essere piacevole e gustoso perché richiede pazienza e meticolosità, per un’altra persona, magari ansiosa e frettolosa, potrebbe essere fonte di stress per la lunga attesa necessaria all’ottenimento del risultato o per l’intensità dell’impegno richiesto. Allo stesso tempo un lavoro per me piacevole potrebbe diventare la mia fonte di stress se un collega insopportabile lo contamina quotidianamente ed io mi chiudo invece di imparare punti di osservazione nuovi. L’entrare in empatia con una persona che appare ostile ma che in realtà potrebbe risultare quantomeno una persona ininfluente se presa per il verso giusto potrebbe rappresentare un punto di osservazione da tenere in considerazione. Potrebbe non trattarsi di amorevolezza bensì della capacità di comprendere l’altro se non altro per azzerarne gli effetti su di noi (inserire nell’equazione il valore che l’azzera).
Ad esempio comprendo che quel collega di lavoro è nervoso ed ostile perché soffre per il suo divorzio e, accecato dai problemi, risulta comprensibilmente intrattabile; per queste ragioni non rilevo come stress il fatto che mi tratti male ma ignoro questo comportamento, senza soffrirne, immaginando che io potrei fare altrettanto nella medesima situazione.

Anche le paure giocano un ruolo fondamentale così come la disinformazione (utile per spaesare e gestire le masse nonché, prima tra tutti, la loro capacità di spesa: decidere verso cosa e verso chi incanalare il flusso economico legato al frutto dei propri sforzi come lavoratori o investitori), l’incapacità (o l’assenza di volontà) nel verificare la veridicità di fonti, l’impazienza legata al voler dare una risposta immediata (e comoda) ad ogni cosa o al voler ottenere “tutto” con irrazionale immediatezza. Fattori che devastano la stabilità e l’equilibrio della persona, fattori che alimentano conflitti tra gli strati coscienti e subcoscienti della persona che, difficilmente, riesce a rendersi conto da sola di ciò che le manca nella propria formazione (autodiagnosi). E’ molto, molto poco, probabile incontrare qualcuno che sia in grado, mediante autocritica e autosservazione, di diagnosticare le carenze di sé stesso.
Generalmente la strada preferita è quella dell’entrare in conflitto con chi ci osserva dall’esterno (posizione dalla quale si avvantaggia di un ulteriore punto di vista, a noi poco noto) anziché, alimentare argomenti costruttivi affinché le osservazioni esterne possano essere integrate a quel che noi conosciamo intimamente di noi stessi e che da fuori gli altri non possono osservare (non in maniera esplicita).

E’ per tali ragioni che, come avrete notato, i vostri amici difficilmente inizieranno una discussione con voi, su qualcosa che state sbagliando, in modo da evitare complicazioni. Superficialità volta alla semplificazione, alla riduzione dei problemi assorbiti in forma invariante nell’indifferenza collettiva. Il vostro cane, invece, non può fare a meno di venirvi a confortare se vi vede giù di corda o ad abbagliarvi con un brontolio smorzato in dissolvenza se non condivide una vostra scelta. Per questo lo amate di più di una persona… da lui accettate le critiche così come la stretta vicinanza, dalle persone no perché sapete che c’è un di più di cui non si parla per comodo ritorno, invidie, gelosie, attriti, perbenismi, complicazioni, argomentazioni infinite faticose da sostenere, mancanza di volontà nel voler osservare le cose da angolazioni “scomode”. Il cervello è duale anche in questo, percepisce ma si tiene alla larga. Teme ogni cosa che non conosce.

Coltivare paure

Coltivare paure all’interno del cervello, quindi, significa generare con il vostro cervello stress che danneggia il vostro stesso cervello. Il gioco di parole è strettamente necessario. A tal riguardo potrebbe interessare, se lo gradite, leggere l’articolo “Pensiero, ragione, presa di coscienza, paura…” per provare a comprendere come certe paure siano formative, forgino la persona e si rivelino addirittura utili, se e solo se, vengono conosciute, combattute, tradotte e neutralizzate.

Un circolo vizioso in cui cadono praticamente… tutti

Considerate anche il seguente circolo vizioso: vi stressate oltremodo per seguire lo schema capitalistico “essere fare avere” in modo non umano. Poi cercate piacere e comodità che (senza saperlo) ritenete opportune per ridurre il cortisolo. Ma queste comodità alimentano i circuiti del capitalismo “essere fare avere” (e il cane continua a mordersi la coda) perché avete bisogno di altro denaro per potervele permettere. Vi fanno sentire meglio, ritenete non danneggino l’organismo e lo aiutino altresì nella sua ripresa. Ma tutto ciò non sarebbe stato necessario se non aveste scelto la vita più stressante e traumatica possibile attualmente disponibile per il vostro organismo, per la vostra persona. Il capitalismo, quando è puramente fine a sé stesso, magari ad un’immagine di sola parvenza, vi danneggia e alimenta solo altro capitalismo il quale, solo in forma ipotetica, dovrebbe salvarvi. Trattasi di un assurdo matematico lampante: per salvarmi dal capitalismo alimento ciò che lo intensifica. Non è un caso che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) abbia rilevato che proprio in Europa e Nord America siano prevalenti i casi di stress e disturbi mentali rispetto al resto del Mondo.

Continua…

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Pensiero, ragione, presa di coscienza, paura…

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Meccanica Off Limits – Riparazione del finale della catena cinematica della trasmissione del Land Rover Defender 110 2.4 td4 Puma – Parte 6: Analisi della componentistica al banco

Rubrica: Meccanica Off Limits

Titolo o argomento: La mia follia di utilizzo tra l’estremo conservativo dell’endurance e quello agonistico della prestazione pura, breve, intensa…

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Prima di concludere la lunga galleria fotografica che ha accompagnato l’intero rimontaggio della trasmissione anteriore (con particolare riferimento al lato destro comprensivo del mozzo, portamozzo, cuscinetti, sistema di sterzo a boccia, sistema frenante, ecc.) vorrei per completezza includere degli scatti che mostrano alcuni dettagli secondo me meritevoli di ulteriori attenzioni.

Ricordate la foto in evidenza nel secondo articolo di questa rubrica “Analisi delle cause del guasto”, ricordate la “colata” del semiasse? Nelle foto che seguono è possibile osservare nel dettaglio come si presentava la situazione posteriormente, all’interno dei cuscinetti e della sede dei cuscinetti.

Mi riferisco in particolar modo al campione di smeriglio derivato dalla rottura per torsione del semiasse anteriore destro (e successiva abrasione per il forte attrito generatosi tra le parti separate) costretto a sopportare una coppia motrice eccessiva durante i trasferimenti di carico in piena accelerazione (impiego per il quale il veicolo, giustamente, non è progettato). La polvere metallica raccolta, in sostanza, costituisce buona parte di ciò che prima era la sezione di semiasse integra.

Mi riferisco anche alla devastazione della gabbia dei rulli del primo cuscinetto della coppia (investita dalla polvere di smeriglio), al conseguente violento attrito generatosi tra i rulli con fusione degli stessi deformati e abrasi, fino al cedimento delle zone del mozzo che ospitavano i track dei cuscinetti. Per non parlare poi dell’invasiva azione meccanica richiesta per rimuovere rondella e dado, che fermano il semiasse nella sua precisa posizione, documentata dalle foto in cui si vedono il dado e la rondella separati rispettivamente in 3 e 2 parti (come abbiamo visto nei precedenti articoli, operazioni fondamentali da compiere per separare le parti deformate, ingranate, fuse tra loro a causa del proseguimento di marcia per oltre 50 km).

Foto 1: Lo smeriglio

La notevole quantità di polvere di smeriglio raccolta nel barattolo altro non è che il prodotto dell’attrito tra le due porzioni di semiasse separatesi per torsione, parte della gabbia a rulli del primo cuscinetto (il più esterno dei due, quello vicino al dado) e parte dei rulli disintegrati.
Ci tengo a precisare che in questo specifico caso la rottura non è partita dal cuscinetto, come molti tendono a pensare, per poi propagarsi agli organi circostanti. La rottura è partita dal cedimento per torsione da parte del semiasse (una serie rinforzata) per le enormi sollecitazioni impartite dall’elevata coppia motrice espressa con particolari tecniche di guida. Nei primi chilometri dopo la rottura i cuscinetti stavano funzionando ottimamente, poi la polvere di smeriglio ha provocato i danni che abbiamo visto lungo gli articoli di questa sfiziosa rubrica (sfiziosa per chi ama la meccanica fin dentro le sue viscere).

Foto 2 – 3 – 4: I rulli del cuscinetto esterno

I rulli del primo cuscinetto (il secondo era illeso) hanno incontrato differenti destini. Alcuni si sono letteralmente sbriciolati, altri si sono fusi e uniti tra loro, altri ancora si sono fusi e si sono uniti sia tra loro sia con il track del cuscinetto.

Foto 5: Il cuscinetto esterno (quel che ne rimane)

Dimensionato ottimamente ha sopportato tutto quel che ha potuto per un esubero di chilometri, oltre 50 (a bassissima velocità) dopodiché il cedimento definitivo ha mandato la ruota fuori campanatura. Desidero ricordare che la scelta migliore (nonché economicamente più conveniente) sarebbe stata quella di fermarsi all’istante, caricare il Defender su un carrello e portarselo in officina per sostituire il solo semiasse, i paraoli, le viti e le guarnizioni, nonché i vari grassi e lubrificanti necessari. Tuttavia ho voluto fare un test, come ho sempre fatto anche su auto e moto da corsa, per studiare e conoscere fino in fondo la natura del progetto (deformazione professionale).
Non fatelo mai! Mai in nessun caso! Lo sconsiglio nel modo più rigoroso, assoluto e categorico possibile. Io stesso non ripeterò mai più una prova simile.

Foto 6 – 7: Il dado e la rondellona

Non presentano particolari stress legati alle sollecitazioni che si sono verificate, tuttavia la deformazione del fusello (sotto il carico impresso non vincolato ed il calore generato) e la sua conseguente ovalizzazione hanno impedito il normale svitamento del dado e la normale estrazione della rondellona (anch’essi leggermente ovalizzati ma privi di segni di innesco di rotture).

Foto 8: La sede dei track dei cuscinetti nel mozzo

Il track del cuscinetto in questione, quello esterno, ruotava liberamente nella sua sede all’interno del mozzo. E’ impressionante se si pensa che per inserire un track in un mozzo sono necessari un martello con una buona massa e un attrezzo specifico per guidare l’inserimento reso, necessariamente, difficoltoso dall’interferenza dei diametri (il diametro del track è maggiore di diversi centesimi di millimetro rispetto a quello della sede per assicurarne il bloccaggio).

Continua…

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Meccanica Off Limits – Riparazione del finale della catena cinematica della trasmissione del Land Rover Defender 110 2.4 td4 Puma

Parte 1: Intro
Parte 2: Analisi delle cause del guasto
Parte 3: Smontaggio dell’assieme
Parte 4: Smontaggio speciale delle parti danneggiate
Parte 5a: Assemblaggio del nuovo assieme a regola d’arte – Distinta materiali
Parte 5b: Assemblaggio del nuovo assieme a regola d’arte – Boccia di sterzo
Parte 5c: Assemblaggio del nuovo assieme a regola d’arte – Fusello
Parte 5d: Assemblaggio del nuovo assieme a regola d’arte – Mozzo e cuscinetti
Parte 5e: Assemblaggio del nuovo assieme a regola d’arte – Assale
Parte 6: Analisi della componentistica al banco
Parte 7: Conclusioni
Parte 8: Curiosità
Parte 9: Sicurezza

Lifelong Learning. L’apprendimento che non finisce mai: Plasticità neuronale

Rubrica: Apprendimento | Learning

Titolo o argomento: Efficientamento del tuo potenziale

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Ora che abbiamo introdotto, in maniera del tutto informale, chi sono i principali giocatori nel nostro personale campo elettrochimico, possiamo citarli con un pizzico di consapevolezza in più per descrivere i metodi, le tattiche di gioco del cervello davanti alle situazioni che andiamo a considerare.

Plasticità neuronale: il cervello che si trasforma

In genere per plasticità si intende la proprietà di un materiale di essere fisicamente malleabile (l’esempio tra i più intuitivi che posso proporvi è sicuramente rappresentato dalla plastilina, il pongo). Si è scoperto che il nostro cervello non è statico come si pensava fino a pochi anni fa. Esso non rimane lungo la vita così come si è formato, impostato in principio, da bambini per poi invecchiare inesorabilmente perdendo le sue caratteristiche di partenza. Al contrario la sua caratteristica endemica è la plasticità ovvero la possibilità di modificarsi tutta la vita sulla base di specifiche esigenze. Nel caso del cervello parliamo precisamente di plasticità neuronale che esprime la capacità del sistema nervoso di modificarsi, da un punto di vista chimico, strutturale e funzionale, come risposta al passare del tempo o per contrastare il verificarsi di lesioni o, perché no, per rispondere a specifiche, anche severe, sollecitazioni della vita.

Cambiamenti chimici

L’apprendimento necessita di pratica costante altrimenti il rilascio dei neurotrasmettitori non è sufficiente per fissare le nuove abilità sviluppate. Se vi impegnate per qualche ora in un nuovo compito notate dei miglioramenti evidenti, ma se non ripetete con costanza l’esercizio e lasciate che passino giorni, settimane, sarà evidente come ogni volta dovrete ricominciare l’apprendimento dall’inizio (ad esempio con la chitarra o con un nuovo attrezzo da lavoro che utilizzate raramente). La pratica costante aumenta il rilascio di neurotrasmettitori rafforzando le capacità del cervello.

Breve nota per la salvaguardia dei bambini: le Neuroscienze hanno dimostrato che è molto più utile far esercitare un bambino anche solo 15 minuti al giorno con costanza nel tempo, giorno dopo giorno, lasciando che si diverta nel farlo, che traumatizzarlo nell’apprendimento ore e ore uno o due giorni la settimana, cosa che lo annichilisce solamente.

Cambiamenti strutturali

Sostenere che il cervello sia plastico non è un modo di dire giusto per comunicare che, se sollecitato, può aggiornare qualcosa di simile ad un software. Significa invece che può realmente mutare la sua morfologia, modificare l’hardware. Costanti stimoli inducono la germogliazioni degli assoni. Ricordate? Sono le “autostrade” su cui viaggiano i segnali elettrici a velocità più che doppie rispetto ad una Formula 1. Così come per gli assoni anche i dendriti (le fitte vie simili ad un attrezzatissimo centro urbano) mutano fisicamente generando nuove vie di collegamento e dismettendo quelle obsolete considerate inutili.
Allo stesso modo l’esercizio fisico migliora l’apporto di sangue (attraverso una molecola che prende il nome di ossido nitrico) e la relativa ossigenazione del cervello (nonché di tutti gli apparati del corpo) attraverso la generazione di nuovi vasi sanguigni capaci di arrivare sempre più in profondità (con tutti i vantaggi che abbiamo trattato nella rubrica “Curiosità sul cervello”, vedi i Link correlati in basso). L’organismo si adatta alle richieste più impegnative che gli vengono poste e con esse porta maggior qualità di vita. E’ come se l’organismo adorasse essere stimolato in modo costruttivo anziché essere abbandonato alla pigrizia o a stimoli incoerenti.

Cambiamenti funzionali

Questa innata capacità di adattamento del cervello porta quindi cambiamenti chimici, cambiamenti strutturali e, di conseguenza cambiamenti funzionali. Questo significa che può apprendere cose nuove, cose nuove di crescente difficoltà (come la Matematica, l’utilizzo di strumenti musicali, la risoluzione di problemi complessi, l’uso del corpo in modi sorprendenti nello sport così come nell’esempio solitamente sbalorditivo delle arti manuali). Ma può anche porre rimedio a situazioni gravi come ad esempio traumi. Il cervello, infatti, in seguito a lesioni, può autoattrezzarsi nell’utilizzo e nella specializzazione di nuove aree, al fine di compensare un deficit, tanto più facilmente quanto più è stato stimolato in un periodo sufficientemente lungo precedente al trauma. Il cervello può quindi crescere e arricchirsi nelle zone maggiormente utilizzate per adeguarsi a precise richieste. Ma ci riesce non necessariamente in seguito ad un lavoro intenso, bensì in seguito ad un lavoro costante di intensità proporzionata e variabile con il crescere delle prestazioni (alla stregua di un muscolo).

Gli stimoli

Quindi i neuroni comunicano tra loro tramite le sinapsi che hanno luogo grazie al rilascio di neurotrasmettitori. Necessitiamo di stimoli soprattutto di tipo cognitivo perché gli stimoli in sé, se sono privi di senso, non migliorano le prestazioni del cervello ma anzi lo affogano nella confusione. Necessitiamo di esercizio anche fisico perché il maggiore apporto di sangue ossigenato al cervello stimola la neurogenesi ovvero la crescita di nuovi neuroni (grazie alle staminali presenti in una regione del cervello denominata ippocampo).

L’apprendimento deve essere impegnativo per il cervello. Se si riescono ad imparare cose sempre più difficili, articolate, complesse, specializzate, otteniamo i benefici maggiori. I dati, le funzioni, le specializzazioni apprese verranno fissate la notte nel sonno (dove saranno riattivati gli stessi neuroni impiegati nell’apprendimento di giorno) e poi rinforzate con l’allenamento, la pratica, l’impegno teorico, l’ossigenazione cerebrale.

Impegno mentale di livello crescente, attività fisica, sonno, alimentazione sana… sono gli ingredienti per un cervello heavy-duty ma la volontà e la propria esperienza personale (rielaborata perseguendo una saggezza costruttiva) fanno la differenza molto più del singolo esercizio meccanico.
Hanno un’influenza non trascurabile anche la predisposizione iniziale dell’individuo e lo sviluppo di capacità “fissate” (non temporanee) derivanti da esperienze pregresse utili per la realizzazione dei propri progetti (previa coerenza delle operazioni, acquisizione consolidata delle capacità necessarie e fattibilità dei propri progetti).

Ognuno con la sua specifica strada

Non vi è uno schema che, ripetuto meccanicamente, ad algoritmo, porti un essere umano alla sua prestazione ottima. Ognuno deve trovare il proprio singolare metodo, adeguato alle proprie singolari caratteristiche e messo in relazione alla propria particolare vita. E questa ricerca del proprio metodo è in sé lo stimolo migliore che si possa imprimere al cervello, probabilmente il più faticoso, quello che impegna maggiormente e restituisce la miglior fluidità e complessità di elaborazione.

Se il vostro atleta preferito vi racconta come si è allenato per vincere i suoi titoli, e vi racconta anche i propri segreti, voi non vincerete gli stessi suoi titoli perché vi è una “complessità”. I principi dai quali partiamo, le caratteristiche dalle quali partiamo si ramificano in modo diverso per ognuno di noi in base anche agli eventi che attraversiamo nella nostra singolare vita. Le variabili sono così tante che pensare di poter ricondurre tutto ad un semplice copia incolla… è pura follia. Eppure la massa questo cerca e si illude di poter in qualche modo trovare la via dell’ottenimento senza fatica o a carico di terzi. E lo stress persistente aumenta e grava sull’organismo portando con sé una quantità inimmaginabile di problemi di salute che uno specialista può illustrarvi in modo serio, accurato, professionale.

I ruoli variegati dello Stress

Inaspettatamente, nella misura corretta, lo stress* risulta persino utile ed aumenta, ad esempio, la produttività sul lavoro così come migliora i personali risultati sportivi per il semplice richiamo al maggiore impegno. Nella misura corretta però. Tale condizione non deve perdurare. Fasi di stress si possono alternare a cicli di riposo e distrazione ma, se si eccede, se la condizione di stress è intensa e persistente, man mano che ci si avvicina al proprio limite si trasformerà in un trauma che danneggerà realmente strutture del cervello con la relativa perdita di funzionamento dello stesso. Ad esempio stress prolungati producono un eccesso di cortisolo (chiamato per l’appunto l’ormone dello stress) e si avrà un danno permanente all’ippocampo (in realtà agli ippocampi) rendendo impossibile la formazione di nuove memorie.
La produzione di cortisolo pertanto potenzia le prestazioni del cervello solo in una fase iniziale. Un buon equilibrio tra controllabilità e incontrollabilità delle situazioni alterna fasi di sicurezza a fasi di stress permettendo di sviluppare stretegie ottime per la risoluzione di problemi (a patto che nel cervello siano state inserite istruzioni valide su come imparare cose nuove, come verificare quanto si impara, come acquisire esperienza, come nutrire il dubbio**, come trasformare l’esperienza in ciò che occorre a seconda di precise condizioni che si verificano nella propria vita).

*Ovvero la reazione dell’organismo allo stressor, la causa della nostra alterazione.
**Le certezze infatti vi portano a ripetere inesorabilmente i medesimi errori e la frustrazione aumenta tanto più quanto più ci si aspettano alquanto improbabili cambiamenti di risultato.

Attenzione al Cortisolo

In risposta ad una improvvisa situazione di stress le ghiandole surrenali producono inizialmente adrenalina, successivamente cortisolo (entrambi ormoni considerati anche neurotrasmettitori). L’adrenalina, come è noto, aumenta il ritmo cardiaco, la pressione sanguigna e infonde una senso di surplus energetico fondamentale per tutte quelle situazioni del tipo “fight or flight response”, ovvero “combatti o fuggi”. In un secondo momento piccole dosi di cortisolo ci permettono di tornare alla normalità rimuovendo gli aspetti più spiacevoli dello stress. Questa regolazione è fondamentale per la sopravvivenza della specie animale (ma qualcosa di simile avviene anche nelle specie vegetali, cosa che vedremo al completamento della rubrica “I sensi delle piante”, vedi in basso i Link correlati).

Se però la situazione di stress è prolungata nel tempo si registra un aumento del tasso di invecchiamento cerebrale, danni agli ippocampi e, di conseguenza, alla capacità del soggetto di poter apprendere qualcosa di nuovo.
Il cortisolo, inoltre, è in grado di inibire il sistema immunitario (ci si ammala molto più facilmente a partire da un semplice raffreddore) ed interferire con il sistema endocrino (l’insieme di ghiandole del copro umano adibite alla produzione di ormoni).

Abbiate cura dei vostri Ippocampi

Gli ippocampi, che si trovano in una zona che possiamo immaginare come il nucleo dei rispettivi emisferi cerebrali, si relazionano con la memoria e con lo spazio. Per quanto concerne la memoria operano su quella di tipo episodico (esperienze personali) e su quella di tipo semantico (conoscenze di carattere generale) e sono impegnati nel consolidamento della memoria da breve a lungo termine. Un danno agli ippocampi (dovuto ad esempio ad un forte stress prolungato) può danneggiare la capacità di memorizzare nuove nozioni lasciando inalterate quelle già memorizzate. Non ha effetti invece sulla memoria implicita che permette di apprendere nuove abilità manuali (residenti in altre zone del cervello). I Neuroscienziati hanno dimostrato che forme di stress prolungato danneggiano gli ippocampi al punto da atrofizzarli almeno parzialmente.

Attenzione al Glutammato

Una situazione prolungata di stress produce quindi il relativo ormone, il cortisolo, esso a sua volta induce un’eccessiva produzione di un neurotrasmettitore eccitatorio detto glutammato da tenere bene sott’occhio. In dosi nella norma il glutammato contribuisce a regolare lo sviluppo cerebrale ed aiuta processi cognitivi di memoria e apprendimento. In dosi eccessive diviene tossico per i neuroni e porta stati d’ansia e depressione.
L’eccesso di glutammato porta inoltre conseguenze di tipo strutturale per il cervello quali l’atrofia dell’ippocampo e un’ipertrofia dell’amigdala con serie conseguenze di tipo comportamentale (difficoltà di attenzione e di memoria) e di tipo umorale (impulsività e difficoltà di controllo delle emozioni).

Continua…

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Cit. Cartesio, 1630, L’Uomo

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Rubrica: Apprendimento | Learning

Titolo o argomento: Efficientamento del tuo potenziale

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Nei precedenti articoli di questa rubrica abbiamo visto cosa si intende per Lifelong Learning, come nel mio piccolo l’ho improntato fin da bambino, che effetti ha avuto (quantomeno nel mio caso, senza quindi alimentare la pretesa di generalizzare una regola comune dato che non si tratta di un processo produttivo industriale ripetibile) e quale genere di risultati mi ha restituito la perseveranza “misurata”, “controllata”, effettuata con cognizione di causa (rivolgetevi sempre a medici specialistici per ogni esigenza al di fuori dall’ordinario impegno di studio). Ora si tratta di capire più nel dettaglio, ma sempre con un linguaggio facilmente accessibile, cosa avviene nel cervello, quando lo si stimola con un costante impegno di studio lungo tutta la vita, dal punto di vista dello sviluppo cognitivo e delle Neuroscienze.
Prima però è necessario introdurre il lettore a quei termini senza la comprensione dei quali il proseguimento nella lettura della rubrica sarebbe inutile. Tenterò di farlo nel modo più semplice possibile.

Il cervello è un vasto territorio che contiene e connette più luoghi specializzati

Immagina di guardare la Terra dal satellite e di divertirti ad utilizzare lo scroll per ingrandire la visuale dallo spazio all’atmosfera, passando poi alle terre emerse, i rilievi montuosi, le valli, i corsi d’acqua arrivando fino ai centri delle città, le varie tipologie di strade, i vari centri specializzati, dal centro urbano con tutte le sue fitte diramazioni fino alle zone commerciali, quelle industriali, le campagne, i poli di studio e di ricerca, le imponenti strutture della sanità e così via. Ebbene il cervello è così. Luoghi specializzati messi in comunicazione tra loro attraverso strade che portano una merce assai preziosa: le informazioni (grazie a stimoli chimici ed elettrici).

Più le strade sono vaste, collegate, ben manutentate, attrezzate e meglio viaggiano le informazioni con ampie possibilità di interscambio, di relazioni, di copertura del territorio (con esplorazione di ogni luogo potenzialmente accessibile). Alta efficienza, alta resa, alto ritorno sull’investimento cognitivo (alla stregua del ROE e del ROI), servizi migliori, più assortiti, notevole disponibilità, versatilità…

I neuroni sono come dei laboratori, delle scuole, delle officine. L’ufficio del direttore, del preside, del titolare è detto soma mentre dendriti, assoni e terminali presinaptici sono una sorta di vie del centro, autostrade e strade extraurbane di scorrimento. Le sinapsi rappresentano una giunzione articolata tra neuroni presinaptici (il potenziale di un’azione) e postsinaptici (l’esecuzione effettiva dell’azione), si tratta di un ambiente costituito da acqua nella quale sono immersi banchi di particolari molecole.
Queste (a dir poco) particolari  molecole dedicate dette neurotrasmettitori sono i corrieri, i vettori delle informazioni. Le informazioni nel nostro cervello, pertanto, viaggiano tramite messaggio chimico. I neurotrasmettitori* (quali ad esempio adrenalina, noradrenalina, ossitocina, dopamina, serotonina, norepinefrina, glutammato, vasopressina, testosterone, progesterone, cortisolo, endorfine, ecc.) sono contenuti in ampolle, dette vescicole, poste all’interno dei terminali presinaptici del neurone. La zona attraverso la quale ha luogo lo scambio di tali molecole è una zona di adesione posta tra i neuroni detta spazio sinaptico o fessura sinaptica. La richiesta di rilascio di neurotrasmettitori avviene mediante un segnale elettrico che corre lungo l’assone.

*Non tutti i neurotrasmettitori indicati tra parentesi sono propriamente dei neurotrasmettitori in senso stretto ma fungono da tali. Per semplicità di esposizione quindi li considereremo tali.

I neuroni (o cellule neuronali) sono cellule elettricamente eccitabili e messe in comunicazione da trilioni di connessioni che trasmettono impulsi di tipo elettrico mediamente alla ragguardevole velocità di 430 km/h, con picchi fino a 720 km/h, permettendo così la trasmissione dei segnali in una manciata di millisecondi (rendendoci in tal modo immediatamente reattivi ai pericoli con lo scopo di garantire la sopravvivenzza) al fine di rilasciare o inibire opportuni neurotrasmettitori.

La cellula neuronale è corredata di un sofisticato sistema di pompe di ioni di sodio e di potassio (che vedremo al completamento della rubrica “Macchine Molecolari Naturali”, vedi in basso i Link correlati). L’accesso o il deflusso di tali ioni permette alla membrana cellulare di mantenere un potenziale elettrico di riposo di circa -70mV (milli Volt). I neurotrasmettitori eccitatori aumentano il potenziale elettrico, gli inibitori lo riducono. Quando si superano circa i -30mV la cellula emette l’impulso elettrico che corre lungo l’assone al fine di ordinare il rilascio di altri neurotrasmettitori. Questo segnale può a sua volta essere convalidato o ignorato dagli altri neuroni a seconda di molteplici fattori (che leggerete, se vi va, sui testi specialistici 🙂 ).

Predisposizioni genetiche, stress, cattiva alimentazione, mancanza di attività fisica, influiscono enormemente sulle riserve di neurotrasmettitori compromettendo seriamente il funzionamento del cervello e l’equilibrio della persona.

Continua…

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Lifelong Learning. L’apprendimento che non finisce mai: Imparare ad imparare (tra metodo e volontà)

Rubrica: Apprendimento | Learning

Titolo o argomento: Efficientamento del tuo potenziale

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Prendi il tuo tempo, costruisci il tuo metodo, trova le fonti giuste.
Non c’è fretta : )

Studiare non significa necessariamente soddisfare scadenze, esami, punteggi. Significa soprattutto sfamare la propria curiosità, la propria voglia di capire, di osservare come funzionano le “cose” in un modo più profondo. Significa conoscere le ramificazioni dei temi che ci appassionano e le loro relazioni con noi, con il nostro modo di vivere, con le nostre abilità, con il mondo circostante e l’Universo conosciuto. Tutto questo può esser fatto in modo piacevole anche senza scadenze rigorose, senza quei tempi ristretti che non permettono realmente di far proprio un contenuto o un assieme di contenuti da mettere in relazione tra loro.

Quello che è fondamentale è disporre degli ingredienti giusti: la vostra dedizione, la vostra caparbietà, l’acquisizione di un metodo di studio valido (leggere un libro sembra semplice, in realtà richiede un metodo di discernimento delle informazioni senza il quale si spreca solo un mucchio di tempo e si assimila ben poco), l’adozione di fonti più che valide (testi specialistici, testi impiegati in percorsi universitari dedicati, estratti di ricerche operate da professionisti accreditati, estratti di conferenze tenute da tali professionisti, tesi di laurea…).

A tal proposito il web dovrebbe essere bandito come fonte, almeno nei primi tempi quando si è alle prime armi con uno studio serio, per l’enorme mole di contenuti fuorvianti: è davvero difficile, a meno che non si abbia un’esperienza consolidata, distinguere contenuti di qualità da semplici insinuazioni, sensazionalismi, rapide conclusioni, contenuti privi di consistenza, contenuti con fini diversi quali il lucro o la spinta del lettore verso determinate direzioni dei mercati per convenienze sleali.

Imparare ad imparare

L’anticamera del Lifelong Learnign è racchiusa protetta da un intrecciato percorso ad ostacoli che ne libera l’accesso solo ai più caparbi. Il primo ostacolo, forse il più ostile: imparare ad imparare. A mio avviso solo una volta che si è trovato un valido metodo, e lo si è collaudato, adattato, affinato, è possibile passare ai quattro fondamenti dell’apprendimento che non finisce mai citati dal Rapporto Delors del 1996 (che prendeva il nome dal Presidente della Commissione Europea), ovvero imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a essere, imparare a vivere insieme.

Il problema di fondo è tuttavia rappresentato dalla necessità di una caratteristica dell’individuo che probabilmente deve essere innata, una naturale propensione che in realtà non è disponibile in tutte le persone o forse giace disattivata al permanente stato embrionale: la volontà di perseverare. Quanti traggono un gusto dall’impegno, dalla fatica, dalla caparbietà quando si trovano davanti a qualcosa che non conoscono o davanti ad un problema? Il Lifelong Learning, lo studio che si estende e sviluppa lungo l’intera vita, deve essere un piacere, non una costrizione né tantomeno un suggerimento martellante che risulti mortificante per chi non è affine ad un continuo impegno mentale. Non dovrebbe pertanto diventare una malattia sociale né un’implementazione stimolata da farmaci a mo’ di “Limitless” (Neil Burger, USA, 2011).

Ho personalmente osservato negli ultimi dieci anni che avviare al Lifelong Learning persone che non nutrono un particolare interesse verso il continuo apprendimento non produce gli stessi risultati di chi lo applica per propria natura, per propria scelta, spesso persino inconsapevolmente. Nei soggetti invitati al Lifelong Learning, infatti, pur manifestandosi effettivamente dei piccoli ma interessanti miglioramenti rispetto al proprio passato, non si genera la stessa plasticità cerebrale di chi invece lo desidera a fondo, liberamente e vi incanala con gusto, passione, divertimento, emozione, persino sofferenza, la propria fertile, innata volontà. L’attività neuronale, sinaptica e assonica dei due modelli di individui è molto differente e, a pari percorso di apprendimento, chi impiega la volontà innata trae benefici molto maggiori misurati nei termini di ciò che si va a realizzare quotidianamente ad esempio in campo professionale, sportivo o artistico.

Nuove sfide, inoltre, mettono in guardia e stimolano la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress, che risulta persino produttiva se la sollecitazione stressante, lo stressor, ha un’intensità limitata all’interno di un periodo di tempo definito. In caso contrario i danni cerebrali potrebbero essere irreversibili tanto più intensa e continuativa è stata l’attività stressante.

Ponendo due bambini davanti ad uno strumento musicale, quello che nutre una spontanea passione, imparerà in poche ore abilità che il suo compagno non riuscirà comunque a far totalmente proprie in settimane. A tal proposito, a difesa dei bambini, le Neuroscienze hanno dimostrato che si apprendono di più, e si fissano meglio nella mente, nozioni ed esercizi ad esempio musicali, dieci minuti al giorno in modo leggero e costante anziché ore e ore delle stesse lezioni una volta a settimana. Trattasi di carico distribuito. Immagina una mensola, immagina di porre lungo tutta la sua superficie i volumi di una consistente enciclopedia (come siamo soliti osservare); immagina ora di utilizzare la stessa mensola ponendo tutti i volumi impilati in un unico punto. Nel primo caso avrai un carico distribuito che solleciterà la tavola lungo una linea di flessione dolce non distruttiva, nel secondo caso avrai un carico concentrato che, seppur con lo stesso carico, solleciterà intensamente un solo punto arrivando a tagliare la tavola in due con il collasso della struttura.

Tra volontà e metodo

Vi sono soggetti che non hanno volontà (o la cui volontà è smontata e devono trovare prima un metodo per ricostruirla) e vi sono soggetti che hanno volontà. Anche disponendo di volontà, magari spinta dalla curiosità, dal desiderio di mettersi alla prova, da un sogno, è facile che non si arrivi ad un risultato concreto di tipo accettabile perché la volontà in sé è condizione necessaria ma non sufficiente per realizzare qualcosa di straordinario nella propria vita. Ci vuole metodo. Il metodo è l’utensile fondamentale da installare nella propria volontà per completare una delle parti fondamentali di un macchinario complesso mosso da un’intelligenza completa, audace, equilibrata, allenata (e non solo…).

Per straordinario non intendo diventare astronauta, mi riferisco più alla risoluzione intelligente di un problema quotidiano che affligge. E’ straordinario chi trova un modo di comunicare con una persona con cui prima alimentava un conflitto (deleterio a lavoro come nella vita privata). E’ straordinario rifar decollare un’attività con ottime idee che siano oneste. E’ straordiario trovare un modo legale per stravolgere un sistema economico obsoleto. E’ straordinario inventare nuove cose utili e non banali superfluità smuovimercato che traballano fino a che i consumatori non se ne accorgono. E’ straordinario risolvere un problema da soli quando gli organi competenti brancolano nel buio o sono giustificabilmente intasati, bloccati in un pensiero sorpassato. Straordinarie sono le cose che un essere umano sconosciuto, che si applica fuori dalle convenzioni, fa ogni giorno senza che la massa ne prenda mai atto. Ci sono tante persone incredibili, la cui vita è così fertile che se passassero il loro tempo sui social, o attraverso i mezzi che i non addetti al settore chiamano “tecnologia”, non potrebbero più occuparsi del “raccolto”. E di cosa nutrirai la tua mente? Di un Like? Di un display touch? Di una app? O di quello che sai fare, risolvere, offrire?

Un esempio per sondare il territorio

Una professoressa di lettere che tanto criticavamo tra compagni di classe ai tempi delle scuole medie si è rivelata preziosa, almeno per me, quando poi son cresciuto. Perché? Perché ci dava spesso esercizi di lettura di noiosissimi testi e voleva che dessimo un titolo ad ogni pagina e scandissimo il testo in micro informazioni e macro informazioni. Voleva inoltre che evitassimo di pasticciare le pagine con colorati evidenziatori con i quali, puntualmente, finivamo con il mettere in risalto praticamente tutto.

Il titolo ad ogni pagina occorreva ad inquadrare se avevamo compreso il nucleo del discorso o se ci eravamo persi tra dettagli meno significativi. Cosa ti vuol comunicare l’autore? Qual è il punto che vuole raggiungere? Qual è il succo del discorso? Come si mette in relazione con i contenuti di cui ti ha parlato prima? Come puoi metterlo in relazione con le cose che conosci già? Ci sono connessioni interessanti con i riferimenti bibliografici?

Le micro e le macro informazioni erano dei brevi testi descrittivi “telegrafati” senza articoli né preposizioni. Le prime erano fondamentali per mettere in evidenza ai bordi della pagina, a matita*, una cascata di informazioni principali dettagliate (ma senza esagerare altrimenti la pagina diventava illegibile e confusionaria). Le seconde erano più rade e determinavano un cambio di tema lungo un capitolo (oggi forse meno necessarie in quanto vanno scomparendo i libri con lunghi capitoli di 60 pagine ai quali si preferiscono capitoli frammentati e già titolati al fine di spezzare la lettura in modo ordinato e sicuramente più agevole).

*Magari con una HB-2 temperata dolcemente… i libri han bisogno di cura : )

Questo lavoro nel trovare titoli, micro e macro informazioni da riportare in maniera misurata e ordinata lungo le pagine permetteva di ottenere due grandi vantaggi. Il primo: l’apprendimento; senza accorgercene assimilavamo il contenuto in modo più profondo in quanto dovevamo elaborarlo per sintetizzarlo. Inoltre dovevamo cogliere necessariamente i reali aspetti salienti, i reali oggetti della comunicazione proposti dell’autore. Il secondo: il recupero delle informazioni a posteriori; con un libro ordinato e scandito a matita si ritrovavamo agevolmente contenuti salienti che dovevamo poi inserire in un tema o un saggio o utilizzare dopo molto tempo per un’interrogazione o un esame.

Ma allora perché il metodo non funzionava a scuola? Perché non gliene fregava nulla a nessuno degli autori minimalisti polacchi e dei loro tetri pomeriggi piovosi che facevano da cornice a drammi uggiosi. Così come, parlando seriamente, bambini di 11 anni non potevano comprendere la gravità e le implicazioni di temi profondi quali l’olocausto che, invece, andavano trattati con il giusto approfondimento ad un’età in cui realmente si possono comprendere i motivi per i quali un popolo non può e non deve più accettare simili scempi disumani in nessuna forma.

Bisogna cogliere nel segno. E’ necessario approdare a temi cari ai bambini per fornirgli in modo efficace i primi metodi di apprendimento consolidati. Altrimenti non è poi possibile passare a quelli successivi più sviluppati, articolati e prolifici che, generalmente, ogni persona che ha piacere di studiare, trasforma nella versione più aderente a sé.

Continua…

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Cit. alta, Nelson Mandela

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Rubrica: Apprendimento | Learning

Titolo o argomento: Efficientamento del tuo potenziale

L’apprendimento che non finisce mai

Alcuni anni fa mi davano quasi del matto. Diverse persone a me vicine, tra cui anche professori che hanno attraversato la mia vita di passaggio o altri con i quali ho mantenuto uno splendido rapporto costruttivo per anni, stentavano a concepire il mio metodo di studio. Stentavano a concepire il mio perseverare nel voler studiare e proseguire l’Università (con il progetto, un sogno possibile, di una Laurea e poi una seconda e una terza…) nonostante la crisi economica globale avesse messo in ginocchio l’economia e con essa anche l’attività dei miei genitori. Sostenevano che un ragazzo normale, se non può studiare perché trattenuto da altro, ad esempio da motivi di forza maggiore quali il lavoro, abbandona gli studi, ci mette una croce. Io no.

Si fosse trattato solo del lavoro… in realtà l’impegno a cui andavo in contro era molto maggiore del lavoro in sé. L’ambizione nell’innovazione dei metodi lavorativi e l’impegno nel recupero delle configurazioni aziendali precedentemente ignorate dai predecessori per l’impiego di modelli organizzativi obsoleti, hanno rappresentato uno sforzo costante, intenso, mastodontico, reso dolce dal piacere di studiare e di mettere in pratica, quindi di provare e verificare meticolosamente gli esiti.

Personalmente non credo al modello di un segmento temporale predefinito per gli studi, uno per il matrimonio, uno per il mutuo, uno per la monovolume (ora suv) con i seggiolini dei bimbi (perfettamente installabili anche sull’auto che avevi prima), uno per dedicarsi all’omologazione (cercando di essere e fare quel che sono e fanno gli altri) e, nel frattempo, il lavoro a debito perpetuo rincorrendo una vita confezionata, precotta, preimpostata, che non è sostenibile dal cervello e, in cascata, da tutto il resto.

Esistono delle priorità, è vero. Ma le priorità non si contendono tra studio e lavoro, bensì tra quel che siamo, desideriamo essere, desideriamo diventare capaci di fare e quel che sono e fanno le masse. Le priorità si contendono tra il timore di perdere la possibilità di realizzare sogni perfettamente raggiungibili (con le capacità che dobbiamo oggettivamente riconoscere di avere o meno) ed il timore di essere giudicati diversi, inadeguati, non conformati, fuori omologazione rispetto ai più. Le priorità all’ennesima potenza o, più correttamente, le priorità esponenziali (nella forma priorità elevato alla priorità) sono l’espressione di quel che in una vita conta realmente: l’impegno nel fare quel che si sente di poter realmente fare. Perché lo studio è vita e il lavoro è vita, entrambi nobilitano l’Uomo e tra i due non può esserci prevalenza.

Dalla mattina al pomeriggio

Così mi accorgevo che la mattina studiavo splendidi Teoremi di Matematica, intriganti leggi della Fisica descritte a loro volta da una Matematica che, spesso, in forma semplice ed elegante, si ripeteva inaspettatamente allo stesso modo capitolo dopo capitolo su diversi argomenti (la radice era sempre la medesima anche se non lo si notava subito) e ci vedevo il pomeriggio soluzioni per i miei progetti, per i miei problemi, per il mio quotidiano, per i miei desideri, per la mia soddisfazione. Una lingua come la Matematica, che appariva a me inizialmente incomprensibile, rivelava tutta la sua logicità al mio perseverare nel suo studio, al mio ostinato perseverare nel suo studio. Perché difficile è bello, difficile è affascinante, difficile è scoperta, difficile è spettacolare, difficile è stimolante, difficile è soddisfazione. Un mondo dentro ad un mondo che contiene infiniti altri mondi. Tutto chiaro in bella vista e allo stesso tempo invisibile ai più che ci passavano davanti in ogni momento senza rendersi nemmeno lontanamente conto, incredibile. Perché mi affascinavano eleganze come l’Identità di Eulero, la Morfogenesi di Turing, i Frattali di Mandelbrot, il Paesaggio di Riemann, la Relatività di Einstein? Perché una volta sostenuto un notevole sforzo per avere una visione più chiara di un concetto matematico, fisico, chimico, storico, poi risolvevo più agevolmente i problemi della mia vita come se fossi d’un tratto più allenato? Perché quel desiderio non si saziava mai e concetto dopo concetto desideravo riandare a lezione, capire, non imparare a memoria ma capire, rielaborare, applicare? E come mai i miei progetti, sempre più complicati diventavano realtà?

Studiare è la mia passione, fare ricerca è la mia vita. In certi periodi non riesco a stare per più di qualche ora lontano da libri, calcoli, teorie scientifiche, prove di laboratorio, analisi, ragionamenti, logiche, esperimenti, costruzioni pratiche, prove dal vivo, verifiche nella vita reale, progetti, rinnovamenti, cambiamenti, innovazioni, risoluzione di problemi. In certi altri periodi, invece, lunghe pause tentano di mettere ordine in un fiume turbinante di concetti mentre mi occupo di tutt’altro durante un deaffaticamento della mente che impegna la struttura del mio corpo (nel mio caso una versione a me aderente del Triathlon).

Così ho dedicato gli anni che ho dedicato a risolvere per la mia famiglia e me i problemi gravissimi legati alla crisi economica globale, ai cambiamenti sociali, a quel che c’è dietro, a quel che ci sarà dopo, e poi ho ripreso a ritmi sostenibili i miei appassionanti studi. Nel frattempo il lavoro, che si stava assopendo del tutto a cavallo del 2010, è aumentato esponenzialmente in seguito alle nostre (per me) naturali innovazioni. Un mio professore, seppur bonariamente, sorrise di tenerezza come un padre quando, in principio, gli raccontai parte dei miei piani. Riteneva il mio progetto impossibile. Non mi buttai giù e, solo pochi anni dopo, dimostrai che le mie teorie erano e sono tutt’ora corrette.

Qualcosa è cambiato

Non solo l’attività di famiglia si salvò, ma cambiò radicalmente, crebbe esponenzialmente passando dall’offerta di una ventina di prodotti basilari ad oltre duemila decisamente più tecnici, incrementando profondamente la necessità di specializzazione, il numero di servizi altrettanto specializzati, studiando nuove teorie di organizzazione aziendale, nuovi modi di fare impresa, allenando la capacità di risolvere problemi via via più complessi e apparentemente insormontabili, aumentando il livello di istruzione, facendo sacrifici immani da sentir male alle ossa come in una metaforica battaglia a mani nude, abbandonando vecchie teorie di indebitamento e finanziamento, abbandonando vecchi metodi d’ufficio, d’amministrazione, di burocrazia, di rapporto claudicante con determinati fornitori, risolvendo una quantità considerevole di problemi da sé senza attendere l’intervento di altri (che ci avrebbero portati in rovina per latenza o pur immaginabile indifferenza), utilizzando nuove logiche ricavate prettamente dalla Matematica e dalla Fisica per ciò di cui avevamo bisogno (quest’ultimo punto quasi impossibile da capire se non traducendo da soli la teoria matematica e fisica in pura pratica facendo leva sulle ramificazioni della filosofia).

Nel mezzo ho frequentato i corsi, mi sono tenuto allenato, ho studiato, ristudiato e ristudiato ancora una volta tutto il possibile e di più. Ho allargato il bacino di materie di mio interesse, le ho interconnesse, le ho applicate, le ho messe in pausa e poi ristudiate da capo. Ho solleticato il cervello e poi… e poi l’ho sollecitato di nuovo, ho studiato le sue risposte alle diverse tipologie di stressor e a diverse intensità di stress risultante, alle diverse difficoltà dei problemi, degli imprevisti e, persino, alle ore di sonno perse volontariamente per periodi di tempo definiti e controllati al fine di riuscire in attività complesse. Follia completa. Il cervello, elastico e frizzante per propria natura, iniziava ad andare come un treno a vapore dotato di consistente Quantità di moto* ed i problemi che prima apparivano come tenaci superleghe indeformabili venivano risolti e abbattuti uno a uno come fossero di fragile gesso.

*Immaginate un grosso escavatore da cava, ad esempio il CAT 797F, la sua massa a vuoto si attesta attorno alle 220 tonnellate, ovvero 220.000 kg. Può raggiungere quasi 70 km/h ovvero circa 19,5 m/s. Il prodotto tra la sua massa e la sua velocità ci restituiscono una grandezza vettoriale, chiamata Quantità di moto, la cui unità di misura è espressa in “kg per m/s”, in questo caso: 4.290.000 kg · m/s.
Immaginate ora un ciclista in volata che si muove sempre a 70 km/h (19,5 m/s) ma con una massa di circa 70kg compresi i 7kg della bici. La sua Quantità di moto, a pari velocità con il CAT 797F, è di 70 kg · 19,5 m/s, ovvero 1.365 kg · m/s (3143 volte minore del CAT).
Percepiamo inconsciamente la Quantità di moto quando, ad esempio, nell’osservare un grosso escavatore (anche di tipo commerciale presso un cantiere edile/civile lungo una strada) e un ciclista che si muovono lungo la medesima strada alla medesima velocità, il primo desta la nostra attenzione impressionandoci ed il secondo ci risulta trascurabile, ordinario, abituale.
Un cervello allenato, strutturato, denso di metodi, contenuti ed esperienze maturate, può mantenere la medesima velocità che aveva in precedenza ma aumentare notevolmente l’impatto che esercita sull’ambiente circostante quando esprime il suo potenziale.
Tratteremo successivamente in appositi articoli cosa accade e perché quando invece il cervello aumenta la propria velocità, caratteristica legata ad altro tipo di allenamento, ad altro tipo di prestazione desiderata, ad altro modello di intelligenza. La riflessività, infatti, se razionale, non è assolutamente una caratteristica negativa, tutt’altro.

Oggi lo chiamano Lifelong Learning

Una volta mi prendevano per matto, oggi lo chiamano Lifelong Learning e gli scienziati hanno dimostrato che la continua sollecitazione del cervello lo rende più “elastico” (adattabile, flessibile), “plastico” (malleabile e ristrutturabile), “potente” (prestante, con crescente capacità di acquisizione, calcolo e problem solving, variabile da persona a persona e delimitata sempre entro un proprio massimo fisico) per tutta la vita (quindi non solo in giovane età). Un cervello positivamente stimolato lungo la vita è un cervello frizzante.

C’è sempre qualcosa che, quando lo adotto in anticipo, porta chi osserva a darmi del matto. Come ad esempio il “Lifelong Learning” al quale non ho mai dato un nome ma che io attuavo come “metodo di autorisoluzione di variegate tipologie di problemi”; come le attuali “competenze trasversali” che io chiamavo personalmente “l’incrocio di temi apparentemente distanti tra loro”, come gli “edifici nZeb e Zero Energia” che io chiamavo volgarmente “case autonome”, e una moltitudine di cambiamenti interessanti che ho sovente anticipato dopo aver superato il gommoso muro beffardo delle solite critiche.

Sono solito sostenere: “Se non fai qualcosa che per te è importante solo perché gli altri non lo capiscono e non ti appoggiano, amaro risulterà quel che resta della vita”.

Strade interessanti da esplorare

Come di consueto, ogni volta, son passati gli anni e si sono accorti anche loro** che non avevo tutti i torti o, quantomeno, le strade da me proposte potevano essere interessanti da esplorare. Anche solo una rapida ricognizione sui miei passaggi sarebbe stata utile a intravedere eventuali attrazioni di un ambiente nuovo. Tuttavia pare sia necessaria una certa predisposizione della mente per attivare la virtù del dubbio, vale a dire ciò che predispone a coltivare gli approfondimenti nella vita, l’esperienza, la saggezza, la cultura non stereotipata. In più occasioni hanno attribuito un nome, generalmente inglese***, a qualcosa che facevo già da tempo, e prima respingevano, oppure a qualcosa a cui ero arrivato anche io, inconsapevole che già esistesse, e loro ignoravano totalmente.

**Chi sono “loro”? Loro sono i portavoce di parole mai comprese
***Segno di debolezza

I portavoce di parole mai comprese

Intravisto il potenziale di un’idea (generalmente più la sua risonanza in un mare di parole) si son fatti portavoce in apposite conferenze di cose che non conoscevano realmente (o sulle quali non avevano maturato l’esperienza sufficiente per parlarne come degli innovatori) e hanno affermato che la tal teoria fosse una teoria interessante da tenere “oggi” in considerazione per non restare indietro. Ma se ne sono accorti tardi, non ne conoscono le funzioni, i comportamenti, le reazioni… un po’ come un giornalista sportivo che parla abitualmente di F1 ma non ne ha mai guidata una e non si rende conto realmente di cosa significhi accelerare (anche intensamente) per sfruttare un’aerodinamica raffinata, sconosciuta, anti-intuitiva di una Fisica non quotidiana (il carico aerodinamico) quando al contrario la naturale concezione di un ordinario guidatore suggerirebbe di frenare…

Così se nel 2010 ero “matto”, oggi sono semplicemente un soggetto che adotta il “Lifelong Learning” da sempre (ma non solo). Ma che importanza ha in fondo? Quando si è presi tutto il tempo da quel che si ama fare non si ha tempo per elucubrare, ruminare, su simili discorsi.
Tuttavia, se tra quel che si ama fare c’è lo “scrivere”, sembra si generi una reiterazione assoggettabile alla matematica frattale che, a sorpresa, complica le cose tanto quanto le rende affascinanti : )
Così, tutt’al più, se ne può parlare in un leggero articolo per un poliedrico Blog stimolante come questo o per qualche pagina di un futuro Libro digestivo che possano esser utili al lettore in qualità di generatori di stuzzicanti spunti di riflessione.

Mi piace pensare: “Non si ha tempo per parlare di certe cose quando si è presi da ciò che si ama fare. Tuttavia se tra ciò che si ama fare c’è il parlare di certe cose…”.

Continua…

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Pensiero, ragione, presa di coscienza, paura…

Rubrica: Aspetti psicologici della società, Così è la vita

Titolo o argomento: Ontologia

La gente evita di stare sola a ritagliarsi tempo per pensare…
…perché dal pensiero viene la ragione,
dalla ragione viene la presa di coscienza
e dalla presa di coscienza vengono le paure.

Le paure costano impegno, quindi fatica.
Si perde l’illusione della facilità, della comodità, del paradiso in terra
e i lati filosofico, antropologico e matematico della vita si intrecciano,
si combinano e si escludono, come materia e antimateria.

Raffaele Berardi

La paura

La paura, d’altra parte, è un ottimo punto di partenza per coltivare esperienza e verificare se la tesi iniziale che ci spaventa è vera o meno. Affrontare la paura forgia il carattere di una persona. Si può aver paura di fare impresa, aver paura di non reggere uno stress, aver paura di perdere, aver paura dell’ansia da prestazione in una qualunque abilità. E si può scoprire, quando magari si è costretti ad affrontare quella specifica paura che ci affligge, che quel che ci spaventava non aveva alcun senso di essere così invalidante e che, tutt’altro, rappresentava per noi una passione che mai avremmo pensato prima. Combattere la paura fa sempre bene. Personalmente da bambino non avevo una paura comune e tutto sommato razionale come quella del buio (se non vediamo quel che c’è intorno a noi possiamo temere che accada qualcosa di inaspettato e meno controllabile), anzi mi divertivo a fare piccole esplorazioni con la torcia proprio la sera nella campagna dove sono cresciuto.

Però avevo paure che non si spiegavano razionalmente come ad esempio la paura delle moto (ovviamente mai guidate da bambino e quindi non avevo idea di perché le temessi così tanto), avevo paura dei cani che mi facevano le feste (quando sollevavano le zampe per appoggiarsi a me scappavo come un matto), soffrivo di vertigini anche da altezze minime (non riuscivo nemmeno a salire su una scala), avevo paura dell’acqua alta al mare e in piscina (mi dovettero prendere in braccio e buttarmi a mollo per farmi capire che non c’era nulla di cui preoccuparsi davvero).

La moto, i cani, il volo, l’acqua… Guarda caso le cose che con il tempo, crescendo, sono diventate le mie prime passioni, i miei maggiori piaceri, le più grandi soddisfazioni. Ma cosa sarebbe successo se non avessi affrontato quelle paure? Beh è semplice, mi sarei perso il meglio.

Le guerre multiformi

Oggi viviamo attraversando quotidiane guerre multiformi (da quelle di tipo pandemico a quelle “tradizionali” con le armi passando per quelle economiche, finanziarie e sociali) e, forse, è sempre stato così. Ma di una cosa sono certo: vale la pena affrontare la paura che ogni avversità incute. Si può anche uscirne perdenti ma per farcela, un giorno, a uscirne vincenti è bene affrontare con tutte le proprie forze la propria singola emergenza senza attendere che altri perfezionino le cose per noi. Quel che oggi, in questo momento, ci fa paura, un domani si trasfomerà in esperienza utile per qualcosa che nemmeno ci aspettiamo e senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Quel che oggi è difficile, una volta superato, potrebbe apparirci facile al punto da farci chiedere: “Perché ne avevo così tanta paura?”. Andrebbe evitato in ogni modo di evitare il problema, di non affrontare i propri mostri, perché se non si affronta un problema, ogni difficoltà successiva farà sempre più paura e magari, un giorno, si scoprirà che si trattava di una paura irrazionale verso qualcosa che poteva persino appassionarci.

Giovani fragili

Intrattengo lunghi dialoghi con Maestre di Scuola Materna, Scuola Elementare, Professoresse di Psicologia, di Scienze Umane, di Educazione Civica. Mi raccontano di come la pandemia di questi ultimi due anni abbia colpito profondamente i bambini e gli adolescenti, dei disagi all’interno delle loro famiglie, di quanto le giovani coppie attuali mollino troppo facilmente, alle avvisaglie dei primi problemi, separandosi, facendo collassare i propri figli nel vizio, nell’irrazionalità, nell’insensatezza, nello sconforto. Si tratta di dialoghi pieni, costruttivi, profondi, densi di contenuti, che rispecchiano volontà, sensibilità, voglia di fare da parte di preziosi insegnanti che però terminano ben presto i loro percorsi nel vuoto se le famiglie si disgregano come castelli di sabbia alla prima sollecitazione. Sono fragili, hanno bisogno di un legante, di essere strutturati e invece, quasi come se si coltivasse debolezza umana per un profitto subdolo, ovvero la facilità di gestione delle grandi masse impoverite e inermi, si elargiscono pressanti spinte al consumo, al possesso superfluo, inutile, alla gara, al confronto con gli altri nell’avere oggetti sciocchi, sciapi, privi di qualsiasi reale consistenza. E collassiamo come invertebrati privi di neuroni davanti ad uno smartphone.

L’attesa della perfezione

Che sia una pandemia, che sia poi una guerra, l’ennesima, che sia una crisi economico-finanziaria, che sia un dramma sociale, che siano errori nostri… ci sarà sempre una difficoltà ad aumentare gli attriti tra noi ed il percorso lungo il quale vorremmo scorrere più liberamente. Se attendete che tutto diventi perfetto prima di partire, non realizzerete mai nulla, starete rigidamente fermi avviluppati da uno scomodo involucro irregolare. Siate come l’acqua, prendete la forma, adattatevi piuttosto alle diverse situazioni e livelli di difficoltà apportando le vostre ingegnose soluzioni purché queste rispettino le due condizioni che amo ricordarvi: agite nel rispetto della legge, agite in modo che le vostre idee non danneggino gli altri. Se ci riuscite allora siete davvero in gamba.

Pertanto

Non penso occorrano discorsi prolissi e noiose paternali, sarebbe sufficiente una sana autocritica anche da parte di chi si sente nel giusto: siamo sicuri che il nostro attuale modo di vivere sia quello corretto? Il benessere raggiunto dai nostri genitori è stato l’innesco della nostra debolezza? Abbiamo ereditato troppa comodità? Personalmente qualche salutare dubbio lo riserverei. Mettiamocela tutta! In gamba ragazze e ragazzi ; )

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Il pensatore, scultura bronzea dell’artista francese Auguste Rodin

Meccanica Off Limits – Riparazione del finale della catena cinematica della trasmissione del Land Rover Defender 110 2.4 td4 Puma – Parte 5e: Assemblaggio del nuovo assieme a regola d’arte – Assale

Rubrica: Meccanica Off Limits

Titolo o argomento: La mia follia di utilizzo tra l’estremo conservativo dell’endurance e quello agonistico della prestazione pura, breve, intensa…

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Spesso si pensa ad un organo monolitico, quale è un mozzo, come ad un organo che supporta semplicemente il carico statico. Si pensa cioè allo sforzo che è chiamato a sostenere solo quando il veicolo è fermo. In realtà, quando il veicolo è sottoposto ad accelerazioni più o meno intense, e quindi a trasferimenti di carico, partenze, arresti, urti… gli sforzi che esso va a sostenere corrispondono a diverse tonnellate, ben più del carico statico (se avete una bilancia pesapersone analogica, attraverso un piccolo balzo sulla pedana, potete notarlo in piccolo). Inoltre le sollecitazioni e le conseguenti deformazioni vengono trasmesse reciprocamente tra il mozzo e gli organi complementari, e viceversa. Pertanto se anche uno solo di loro risulta fallace le conseguenze si ripercuotono lungo l’intera catena. Tolleranze non rispettate, serraggi errati, lubrificazioni inadeguate, geometrie alterate, materiali non adatti, portano conseguenze spiacevoli nei casi migliori, altre che preferisco non definire in quelli peggiori.

La rottura per torsione del semiasse, come abbiamo già visto, con il proseguimento della marcia ha prodotto una polvere di smeriglio e indotto temperature tali da danneggiare gravemente uno dei due cuscinetti, la sua relativa sede (track), la superficie interna del mozzo, il fusello… generando una serie di rotture in cascata. La ruota è rimasta al suo posto ma fuori campanatura e (abbiamo tangibili testimonianze dai nostri colleghi impegnati nelle competizioni off-road con questi ed altri particolari mezzi) poteva verificarsi una rottura più importante. Fortunatamente il primo segno di cedimento concreto si è presentato a poche centinaia di metri dalla mia abitazione dopo la mia follia tecnica che sconsiglio vivamente e seriamente a chiunque di replicare: al manifestarsi del guasto arrestarsi immediatamente e attendere il veicolo di soccorso per il trasporto in officina.

Pensare di effettuare una curva, o affrontare un imprevisto, con un gruppo mozzo che non è assemblato, registrato a misura e controllato nel minimo dettaglio, ad esser sincero, non mi lascia esattamente a mio agio. Immaginate di perdere improvvisamente un angolo caratteristico (campanatura o convergenza ad esempio) o, persino, un vincolo durante una curva o un’azione impegnativa. Le conseguenze sarebbero poco piacevoli in pista, non oso pensare su strada. Quando percorrevo quella curva, di cui vi parlavo nei primi articoli di questa rubrica, il cedimento del solo semiasse destro ha prodotto un allargamento della traiettoria per mancanza improvvisa di coppia motrice che ho compensato con le conoscenze tecniche maturate per anni e anni in pista. Tutto il comparto sospensioni era in perfetto ordine, il gruppo del mozzo non era ancora danneggiato (visto che lo smeriglio non si era ancora prodotto) e la ruota era ben salda. Eppure l’allargamento di traiettoria è stato tanto marcato quanto inaspettato, specie perché è arrivato in un momento in cui chiedevo alla trazione integrale di aggrapparsi al suolo in proiezione uscita di curva. Il cedimento di un organo portante avrebbe avuto senza ombra di dubbio una influenza maggiore.

Per queste ragioni considero ora un veicolo strutturato in modo così importante non più il veicolo spartano, rustico e abbondante che inizialmente volevo vedere (come tanti appassionati come me lo vedono del resto), bensì un veicolo che per taluni aspetti richiede persino più cure e attenzioni dei veicoli da pista ai quali sono abituato. E onestamente non pensavo ma son lieto di aver fatto questa conoscenza : )

Continua…

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Meccanica Off Limits – Riparazione del finale della catena cinematica della trasmissione del Land Rover Defender 110 2.4 td4 Puma

Parte 1: Intro
Parte 2: Analisi delle cause del guasto
Parte 3: Smontaggio dell’assieme
Parte 4: Smontaggio speciale delle parti danneggiate
Parte 5a: Assemblaggio del nuovo assieme a regola d’arte – Distinta materiali
Parte 5b: Assemblaggio del nuovo assieme a regola d’arte – Boccia di sterzo
Parte 5c: Assemblaggio del nuovo assieme a regola d’arte – Fusello
Parte 5d: Assemblaggio del nuovo assieme a regola d’arte – Mozzo e cuscinetti
Parte 5e: Assemblaggio del nuovo assieme a regola d’arte – Assale
Parte 6: Analisi della componentistica al banco
Parte 7: Conclusioni
Parte 8: Curiosità
Parte 9: Sicurezza