Materiali compositi: le ossa

L’osso è un materiale strutturale, esso si trova in molti organismi e, anche se non lo si immagina, è un materiale composito. Quando pensiamo ad un materiale composito, generalmente, vengono in mente parole come carbonio, kevlar, resina, ecc. In realtà un materiale composito è composto da una miscela o da una combinazione di due o più micro o macro costituenti che differiscono nella forma e nella composizione chimica e che sono essenzialmente insolubili l’uno nell’altro. L’osso nella fattispecie è formato da una miscela di materiali organici ed inorganici.

Parte organica

Il componente organico è composto da una proteina detta collagene (tipo l) e una minima quantità di proteine non collageniche. Il collagene risulta essere fibroso, tenace e flessibile. Esso fornisce all’osso doti di flessibilità e resilienza (resistenza agli urti). Costituisce il 25-30% del peso a secco dell’osso.

Parte inorganica

E’ costituita da idrossiapatite (HA) la cui composizione è: Ca10(PO4)6(OH)2. L’idrossiapatite è formata da piccole lamine lunghe 20-80 nm e spesse 2-5 nm. Questo componente inorganico fornisce all’osso la sua consistenza, la sua solidità e la sua durezza. Determina il 60-70% del peso a secco dell’osso.

Conclusioni

I materiali compositi fibrosi sono miscele di due o più materiali  con composizione e proprietà differenti che insieme consentono di ottenere proprietà uniche. Oggi sono largamente utilizzati dalle industrie dei più disparati settori ma, come è oramai ovvio intuire, madre natura ci aveva già pensato.

Note
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Potrebbe esserti utile l’articolo “Fattore di moltiplicazione” per valutare a quanto corrisponde 1 nanometro (nm).

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Sezione longitudinale di un femore

Materiali innovativi

Al link che vi segnalo più in basso trovate un curioso catalogo di materiali innovativi. U-Matter è una rassegna di referenze sui materiali innovativi: una proposta esemplificativa delle migliori soluzioni tecnologiche selezionate da MaTech all’interno del proprio data-base.

All’interno troverete, suddivisi secondo le principali famiglie in cui è articolato l’archivio di MaTech, gli estratti delle schede di alcuni materiali significativi.

U-Matter è una finestra aperta sul mondo dell’innovazione, per far crescere e condividere la cultura dei materiali innovativi. MaTech è il primo centro europeo al servizio delle imprese e dei professionisti che offrono o cercano nuovi materiali per l’innovazione di prodotto e di processo.

I materiali sono suddivisi secondo le seguenti famiglie: polimeri; metalli e leghe; fibre e tessuti; compositi; ceramica e vetro; pigmenti – additivi; trattamenti superficiali; schiume; adesivi; fluidi tecnici; naturali; tecnologie. Potete visitare tutte le famiglie di materiali innovativi alla pagina web: http://www.matech.it

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La cottura dei primi telai in carbonio della Ferrari

Rubrica: Che cos’è un’autoclave?

Titolo o argomento: La cottura dei primi telai in carbonio della Ferrari

Le scocche delle Ferrari 126 C3 e 126 C4 utilizzavano pannelli composti da due strati di fibre (carbonio e kevlar) con all’interno una struttura a nido d’api. All’interno dell’autoclave veniva posto lo stampo del pezzo da cuocere; al suo interno veniva stesa la prima pelle di fibra, il materiale a nido d’api ed infine la seconda pelle. Lo stampo veniva sigillato con una sorta di sacco di plastica a tenuta stagna. Tramite una presa d’aria veniva ottenuto il vuoto all’interno del sacco. Il ciclo termico durava dalle due ore e mezzo alle sei ore a seconda della sua complessità. Opportune sonde venivano posizionate lungo l’intero pezzo da cuocere per poter verificare la temperatura nei vari punti. Il buon bilanciamento delle variabili vuoto pressione temperatura permetteva (e permette tutt’ora) di ottenere precisioni dimensionali notevoli. In breve ecco le tre fasi del processo di cottura adottato per le Ferrari 126 C3 e 126 C4:

1. Si parte con una pressione di meno un’atmosfera (-1 kg/cm2) che agisce sul pezzo mentre la temperatura è quella ambientale. Per alcuni minuti viene aumentata la pressione e si controlla se ci sono perdite. Successivamente si inizia a scaldare l’autoclave. La temperatura sale, la resina si scioglie e bagna il pezzo in tutti i punti. Si stabilizza la temperatura intorno ai 120/180°C che rappresentano il punto di polimerizzazione.

2. Si lasciano costanti i valori di pressione e temperatura in modo tale da spingere la resina in modo uniforme. Questo evita che ci siano dei punti vuoti e dei punti con sovrabbondanza di resina. Anche la pressione elevata aiuta la polimerizzazione.

3. Il pezzo è pronto , la resina è cotta, tuttavia è ancora debole. Si procede quindi ad un leggero raffreddamento totale e ad estrarre il pezzo dall’autoclave. La durata del ciclo, oltre che dalla complessità del pezzo, dipende dal materiale adottato per realizzare lo stampo.

La tecnica descritta risale ad oltre 20 anni fa. Sebbene la fisica e la chimica non siano cambiate in questo intervallo di tempo, molti dettagli di questo processo si sono affinati ed evoluti. Alcune aziende descrivono tranquillamente i loro procedimenti attuali, altre preferiscono tenere per sé un metodo corretto in base alle loro conoscenze.

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Autoclave e tecnica

Rubrica: Che cos’è un’autoclave?

Titolo o argomento: Autoclave e tecnica

Detto in parole povere, un’autoclave non è altro che un contenitore in pressione scaldato. Un grosso forno sottovuoto dove vengono cotti pannelli compositi, fibre e resine. Lo scopo dell’autoclave è la polimerizzazione e cottura di fibre e resine mediante processi termici. Non vengono cotte solo le scocche, bensì anche alettoni, carrozzerie, deflettori, elementi aerodinamici aggiuntivi, pannelli vari…

Gli ingegneri della Formula1 (anche se oggi questa tecnica è estesa a molte più categorie: DTM, rally, superturismo, campionati GT, campionati prototipi…) progettano e forniscono alle ditte specializzate tutti i disegni ed i calcoli inerenti la disposizone e gli intrecci delle fibre di carbonio e kevlar. Questo, oltre ad accrescere la specializzazione dei fornitori del servizio, permette ai team di ottenere telai e componentistica realizzata ad hoc per le proprie esigenze progettuali.

Alcune squadre non affidano a terzi questo compito e decidono di produrre in casa tali componenti e testando metodi che poi resteranno segreti. Un’autoclave che riesce ad adempire a tali compiti, oggi, può costare cifre che si aggirano intorno ad alcune centinaia di migliaia d’euro. Una spesa tuttosommato sostenibile da grandi costruttori. Per chi, come me, non può acquistare una propria autoclave per la realizzazione di una determinata componentistica (di cui parlerò meglio in seguito) esistono particolari ditte che offrono esclusivamente il servizio di “cottura”. Su grandi volumi di produzione risulta senz’altro un metodo poco conveniente, ma per chi “sperimenta” o produce una “serie limitata” può essere una soluzione interessante.

Un’autoclave è composta da un recipiente in acciaio che può avere un diametro utile fino a 3 metri (nel caso di realizzazioni di tipo automobilistico) ed una lunghezza utile fino a 4,5 metri. Si possono raggiungere valori di temperatura e pressione simili a quelli di un pianeta inospitale come Marte. La pressione può raggiungere gli 8 bar e la temperatura può superare i 200°C. Esistono inoltre aziende in grado di produrre particolari autoclavi sulle specifiche richieste del cliente ma si tratta di un’opzione assai rara.

Stranamente la temperatura non viene innalzata sfruttando la corrente elettrica (e ne ignoro il motivo) bensì con l’ausilio di una particolare batteria posta all’interno dell’autoclave ed alimentata da olio diametrico. Una ventola di dimensioni assai generose provvede a distribuire il calore in maniera omogenea. Nella fase che prevede il raffreddamento del contenuto un’altra particolare batteria provvede ad alimentare questo processo.

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Schema autoclave